Si deve avere un amico invisibile a cui parlare nelle ore silenziose della notte e durante le passeggiate nei parchi (Kahili Gibran)

Poi c’è stata la diagnosi di cancro.  E proprio mentre ero nel vortice dello tsunami, fra una chemio e l’altra, ho scoperto la corsa. Qui devo ringraziare un po’ di persone, prima di tutto una grande amica, Sonia, ribattezzata “mia sorella” da mio marito e dalle mie figlie. Lei è stata un regalo del cielo, che ho trovato nel momento più buio,  quando temevo di morire. Oggi so con certezza che senza il cancro non avrei mai incontrato la mia grande amica-sorella, anche se abita a pochi metri da casa mia…

 I giorni più brutti, durante i cicli di chemio, erano quelli immediatamente successivi alla terapia, i primi quattro o cinque. Li passavo fra il letto e il divano, in preda a nausee e a tremori. Qualcosa di simile a quelle terribili gastroenteriti che, non si capisce perché, colpiscono le famiglie che hanno i figli piccoli, in età da nido o materna. Con la differenza che a me bastava solo l’”idea” della chemio a farmi stare male. E insieme al corpo avevo avvelenati anche i pensieri.  A ogni ciclo cambiavo la miscela dei farmaci anti-nausea, ora assecondando l’omeopata (“con il cortisone non si digerisce neanche una pera cotta”) ora il protocollo oncologico (“senza cortisone non si sta in piedi”), finchè un giorno ho tentato un’altra strada. 

 Ho seguito Sonia al parco, con le scarpe da runner.  Due minuti di camminata a passo svelto, alternati a uno di corsa. E così via per cinque volte. Avevo cominciato nel novembre 2007 mentre aspettavo l’intervento ma la marcia vera l’ho ingranata durante le cure, dal gennaio 2008. Cosa accadeva di straordinario, corsetta dopo corsetta? Elementare, Watson, avrebbe detto Sherlock Holmes: mi dis-traevo dal malessere e mi con-centravo sul momento presente. Poteva essere l’aria fresca sulla faccia come la chiacchierata con l’amica, il rumore dei passi o il battito del cuore. Sorpresa: sentivo il respiro, le tempie sudate, le gambe indolenzite e NON  STAVO MALE! Quel senso di benessere mi accompagnava per tutto il giorno ed io lo inseguivo sempre più spesso, come si cercano le situazioni belle…

 Provate, per credere. In questo modo i miei cicli di chemioterapia correvano anch’essi più veloci, la corsetta diventava una signora corsa, man mano aumentavo il tempo, i percorsi e la frequenza cardiaca. E qui ringrazio anche un amico collega, Antonio – autore fra l’altro di un piacevole blog sul il giornale.it seguitissimo dai runner , “Vado di corsa” – che mi aveva sempre parlato del benessere di questo sport. Quando si corre le endorfine inondano il cervello e si diventa più felici!  Così ho imparato a sconfiggere la fatigue (quel senso di spossatezza terribile)  lasciato dalla chemio e della radioterapia e ho pure aumentato la mia resistenza alle malattie: nonostante i globuli bianchi ridotti ai minimi termini, pensate, non ho più avuto un’influenza (e grazie a Dio neppure una gastroenterite). Non c’è come una corsa al mattino presto, nel gelido inverno milanese, per sentirsi – e ritrovarsi –  temprati!

 Prima di avere il cancro credevo che i miei affannosi spostamenti quotidiani fra un impegno e l’altro fossero salutari (“comunque mi muovo”, dicevo) .è  vero il contrario: l’attività fisica rigenera solo se non ci mettete dell’altro fra voi e lei, per il tempo che vi pare, che siano 40, 50 o 60 minuti

 Ovviamente non sono riuscita a tenere il segreto tutto per me,  questo è l’unico sport in cui  si vola per la metà del tempo della pratica  e ho trascinato più amiche e conoscenti possibili compreso il marito (sì proprio lui che diceva “chiedetemi tutto ma non di mettermi a correre…”)

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