Pressione fiscale al 42.4%. Doniamo cinque mesi del nostro lavoro allo Stato
42,4%. Segnatevi questo numero ed iniziate a tremare. Volete sapere a cosa corrisponde? Alla pressione fiscale che gli italiani nel 2019 hanno dovuto subire. Sì, subire perché questo dato indica la soglia di galleggiamento a cui si devono aggrappare imprenditori, partite Iva e lavoratori dipendenti. Ogni anno l’acqua sale e l’aria diventa rarefatta. Entriamo nel merito dei dati. Dodici mesi fa la pressione fiscale era ancorata al 41,8%, il tutto emerge a pochi giorni dal 30 settembre ultima data utile per presentare il modello 730. Mentre il reddito delle famiglie, lo scorso anno, ha avuto una crescita dell’1,0%. L’aumento del potere d’acquisto? Del 0,5%. La propensione al risparmio risulta ferma a quota 8,1%. Inoltre come riporta Il Corriere della Sera: “Il valore aggiunto in volume è cresciuto dell’1,8 per cento nelle costruzioni e dello 0,5 per cento nel settore dei servizi ed è diminuito dell’1,7 per cento nel settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e dello 0,7 per cento nell’industria in senso stretto”. E le entrate totali delle amministrazioni pubbliche? Aumentate del 2,9%.
Qualcuno si chiederà, ora, cos’è esattamente la pressione fiscale. Presto detto. Parliamo del rapporto che intercorre tra i tributi pagati dal contribuente ed il suo redditto imponibile. Misura, in sostanza, la quota di reddito che lo Stato e gli enti locali, tramite imposte e tributi, acquisiscono dal cittadino con la finalità di finanziare la spesa pubblica. Sostanzialmente quanto del nostro sudore finisce nelle casse statali. In pratica è come se pagassimo imposte fino al 3 giugno e poi iniziassimo a “godere” dei frutti del nostro lavoro. Cinque mesi, abbondanti, donati. Per ricevere cosa? Noi imprenditori, in primis, ci troviamo con la perenna nomea di evasori fiscali e la pistola del fisco puntata alla tempia. Così il ceto medio arranca, disperatamente.
Facciamo il raffronto con la Germania. In terra teutonica il prelievo fiscale è strutturato come no tax area. In sintesi? L’aliquota variabile si modula per i redditi compresi tra 9mila e 55mila euro tra il 14% ed il 42%. Raffrontiamolo a quello italiano. Un dipendente nato a Berlino, entro i 15mila euro di reddito, paga più tasse di uno nato a Roma. Tra 15mila e 25mila euro invece la tassazione è simile. La vera differenza arriva tra i 25mila ed i 65mila euro, lo scheletro del ceto medio, che vede il contribuente di Vicenza pagare molto di più rispetto a quello di Stoccarda. Il nesso nelle parole, rilasciate al Corriere, di Enrico Zanetti ex sottosegretario all’Economia nel governo Renzi: “In Italia il fattore famiglia viene valorizzato per i redditi bassi – spiega Zanetti – assai meno per quelli medi. Il nostro è un Paese che confonde il nobile principio della progressività del prelievo fiscale con la non nobile pretesa del livellamento verso il basso. Ecco perché se si entra nel merito di una riforma dell’Irpef bisognerebbe partire da un riequilibrio della progressività fiscale tra redditi bassi e medi a favore di quest’ultimi. E poi serve un’adeguata valorizzazione del fattore famiglia per ridare potere d’acquisto al ceto medio”.
Davanti a questo scenario il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri continua la sua personale lotta, che poi è quella degli istituti di credito e dell’alta finanza, contro il danaro e l’evasione fiscale. Un’ossessione, mentre lo scenario ci parla di lavoratori oberati di tasse ed imposte. Come dichiarato ad Agorà, su Rai 3, dal tenutario del dicastero di via XX settembre: “Vogliamo avere già a ottobre le linee di fondo del Recovery Plan, in modo da interloquire subito con la Commissione UE. I primi soldi concretamente arriveranno nei primi mesi del 2021, un primo 10 per cento”. Schiavi delle linee dell’Unione Europea, il tutto mentre gli imprenditori italiani continuano a suicidarsi. Da inizio anno 42 suicidi, di cui 25 registrati durante il periodo del lockdown, 16 solo ad aprile (secondo quanto riporta il sociologo Nicola Ferrigni, dati aggiornati al 9 maggio 2020). Un’ecatombe che deve finire. Fateci lavorare, fateci mantenere i nostri figli e saremo disposti, senza battere ciglio, a pagare tasse in modo equo per sostenere l’Italia, la patria nostra.www.IlGiornale.it