Un giorno dell’anno 1987, un gruppo di amici in un college americano cercarono di ricordare l’episodio televisivo che, a posteriori, aveva segnato l’inizio della fine del loro programma preferito. Tra tanti esempi, solo uno mise tacitamente tutti d’accordo: la puntata in cui Fonzie saltò lo squalo.

“Hollywood, part 3″ di Happy Days andò in onda il 20 Settembre 1977. In quell’episodio il protagonista della sitcom saltava con gli sci nautici una piccola zona delimitata di mare all’interno della quale nuotava un famelico pescecane. C’era proprio The Fonz, con il suo immancabile giubbotto di pelle, che al traino di un motoscafo eseguiva il “pericolosissimo” exploit, mentre sul molo un folto gruppo di ammiratori tratteneva drammaticamente il respiro.

L’espressione “Jumping the Shark” è poi entrata nel linguaggio comune per descrivere l’azione di chi escogita una soluzione talmente ridicola da marcare un punto di non ritorno. Agli occhi delle generazioni successive, gli autori di Happy Days avrebbero adottato quella funambolica trovata perchè non sapevano più cosa inventarsi per rimanere sulla cresta dell’onda. Ma non andò esattamente così.

Giudicato con il gusto di quegli anni, Fonzie e lo squalo non segnarono un punto di disincanto. Fred Fox, l’autore, fece notare che quell’episodio ebbe il cinquanta percento di share e un numero di spettatori impensabile ai giorni nostri. In seguito Happy Days continuò a macinare record per altre sei stagioni. Eppure la scena del pescecane, vista oggi, è talmente ridicola, priva di ironia e involontariamente divertente, che non conta più come fosse stata recepita allora. Identificarla come simbolo negativo ha un suo perchè.

Da oltre vent’anni tengo un diario dove scrivo in modo maniacale tutto quello che percepisco intorno a me. E’ interessante, e a volte anche heartbreaking, andare a ritroso per cercare situazioni in cui sono stato io a saltare il pescecane. Così come nella puntata di Happy Days, anche nella vita di tutti i giorni un’azione o parola che in origine era mimetizzata nel contesto, appare a posteriori come un punto di non ritorno.

Il novantanove virgola nove nove nove nove per cento delle nostre parole e azioni si disperdono nell’ambiente. Una su un milione rimane, plasmata come un sasso dalle onde, arrotondata, rivalutata, soppesata, misurata come l’unico ossicino di quello che fu un dinosauro. Dal momento in cui esce dalla nostra bocca, quella parola non ci appartiene più, proprio come il significato del salto dello squalo, che una volta andato in onda, non è più appartenuto a chi l’aveva ideato.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
Tag: , , , , ,