I si-vax generalmente accettano il vaccino anti covid seguendo il modello Churchill & democrazia: peggior forma di rimedio, eccezion fatta per tutte le altre. La scelta del si-vax è pragmatica, non ideologica.

I no-vax militanti, invece, non esprimono semplici opinioni, ma certezze granitiche, perchè adottano il modello “tribù” di Greta Thunberg. Naturalmente esistono anche i no-vax indipendenti, ma sono rari, e si riconoscono perchè NON sono tarantolati.

Da dove nasce l’energia tribale dei no-vax militanti?

Il 25 Novembre ho trovato sul Financial Times un articolo molto interessante sulla modalità con cui recepiamo un’idea. L’articolo non tratta del movimento no-vax, ma i concetti espressi si applicano bene anche a quel tema.

L’autrice Jemima Kelly cita un saggio dello psicologo Daniel Gilbert, la cui tesi è che per comprendere un’idea, il nostro cervello in un primo momento l’accetta temporaneamente come vera. L’atto di accettazione è piuttosto semplice perchè è automatico. Rifiutarla, invece, richiede più impegno, perchè comporta la necessità di passare attraverso un processo di disconoscimento, “unbelieving”.

René Descartes sosteneva che noi esseri pensanti prima capiamo un’idea, e poi decidiamo se accettarla o rifiutarla. Gilbert invece parte da Baruch Spinoza, secondo cui il processo di comprensione di un’idea passa prima dalla necessità di accettarla. A noi esseri digitali piace immaginare di ragionare come dice Descartes, ma molto più probabilmente seguiamo il modello di Spinoza. Con una metafora mia, non della giornalista del FT, noi apriamo la porta (la nostra mente), facciamo entrare lo sconosciuto (l’informazione) e solo in un secondo tempo gli chiediamo chi c**zo è (comprensione e valutazione dell’informazione).

Gli algoritmi dei siti di ricerca e dei social networks, scrive la Kelly, ci inondano di informazioni che in passato abbiamo già cercato, e rinforzano così i nostri punti di vista consolidati. A causa di questo meccanismo, tendiamo ad accettare automaticamente l’informazione che ci viene propinata, ma noi “spinoziani” moderni, non abbiamo l’energia nè il tempo per disconoscerla, e ci trinceriamo ancora di più nelle nostre convinzioni. Se la rete tende a rinforzare quello che già pensiamo, per spezzare questo circolo vizioso che ci impedisce di comprendere punti di vista diversi, Jemima Kelly suggerisce di imparare a disconoscere le nostre ferree opinioni, esponendoci maggiormente alle idee contrarie.

A questo proposito, credo che sia opportuno complementare l’informazione frazionata che raccogliamo quotidianamente sul web, con il ponte tibetano filo rosso dei giornali tradizionali: prima pagina, politica, interni, esteri, attualità, economia, cultura, spettacolo, sport, cronaca cittadina. Confrontarci tutti i giorni con la lettura di articoli che spesso ci irritano, è anche un ottimo modo per disorientare il mefistofelico algoritmo: è lui il vero nemico, non il giornalista professionista, p’rrro gatto!

 

P.S. per leggere l’articolo del Financial Times, googolate queste parole: Jemima Kelly Daniel Gilbert Financial Times. Passando da Google, senza andare sul sito del FT, è possibile leggere gratis una tantum.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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