In un’intervista di qualche anno fa, Gianni Morandi disse questa cosa molesta che mi perseguita: «Verso i 60-65 anni perdi dei colpi, ma il tuo interlocutore non lo sa, e tu riesci a nasconderlo. Dopo qualche tempo lo sapete tutti e due. Poi arriva il momento in cui lo sa solo lui».

Io dovrei essere ancora fuori dalla zona a rischio, ma qualche giorno fa ero a un pranzo, e mentre parlavo con un’amica, è mancata all’appello una parola semplice. Era un vocabolo di uso comune, non un parolone. Per quei pochi secondi più lunghi della distanza che mi separava da lei*, ho cercato quella parola un po’ dappertutto nel mio cervello.

Ripensando a quel tempo dilatato, mi sono sentito come una donna che cerca un mazzo di chiavi nella sua borsa troppo grande, piena di oggetti stratificati, e mi sono immedesimato: «Cosa ci fa qui questo mezzo biscotto mozzicato? Ah, ecco dov’era lo scontrino! No: queste sono le chiavi del mare…».

Poi la parola l’ho trovata: si nascondeva dietro a un dolore vicino. Era proprio lì mimetizzata, appiattita nella penombra di un ricordo agrodolce. Ho parlato con quella parola: le ho chiesto cosa credesse di fare, e lei mi ha risposto: «No, niente. Ero qui: non avevo capito che cercassi me». E’ stata una normale dimenticanza, o era un primo segnale?

A ruota di questo inquietante quesito, mi sono tornati in mente gli ultimi articoli di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera, e poi anche le sue ultime lettere a Dagospia. Ho sempre letto avidamente gli editoriali di Sartori, ma in quei suoi ultimi scritti avevo intuito che, uno ad uno, stavano saltando i suoi filtri. Niente di troppo sconvolgente: in uno, ricordo che bullizzava il lavoro della ministra Kyenge, rivelando cose che in quella circostanza pensavo anche io. Ma un pensiero è un pensiero, un editoriale è un editoriale: sono parenti, ma con qualche grado di separazione.

No, niente. Oggi ho voluto condividere con voi questa mia inquietudine.

* Questa l’ho rubata da Ce Soir Mon Amour di Georges Moustaki: «Tu es plus loin que la distance qui nous sépare».

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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