In un’intervista del 2004, il maestro di scacchi Bruce Pandolfini descriveva la diversità tra maschi e femmine nella sua esperienza didattica: «Fino ai 6 anni non c’é differenza di potenziale tra un bambino e una bambina, ma a 6 anni succede qualcosa: il bambino si chiede che cosa può attaccare, mentre la bambina é portata a chiedersi che cosa deve difendere. Non so se questo sia un tratto biologico o culturale». Se continuiamo a seguire il modello Grande Morbo del politicamente corretto, questa preziosa testimonianza in futuro non potrà più essere raccontata, perchè sta diventando inopportuno basare una tesi sulla statistica imperfetta estrapolata dall’esperienza personale.

Nelle famiglie di cinquant’anni fa c’era il padre padrone col forcone. Il suo ruolo discendeva direttamente da «Wilma, dammi la clava!». Al padre erano perdonate le assenze, i tradimenti, e una certa callosità d’animo, purché difendesse il focolare. Allora esisteva una separazione chiara dei ruoli: lui poteva anche essere ottuso e molto poco amato, ma il posto sul trespolo era suo. Nel Ventunesimo secolo fortunatamente non è più così, ma come spesso accade, in periodi di rivoluzione si perdono gli anelli di congiunzione che sono anche le chiavi di lettura di molte cose.

Le nuove generazioni magari si son fatti l’idea che nei secoli scorsi l’uomo dominasse e basta, ma non è così: esistevano ambiti perlopiù privati dove la donna aveva il controllo. Per millenni i maschi hanno potuto esercitare liberamente il loro potere, mentre quella femminile era (è) una forza più liquida, meno diretta, elusiva e camaleontica. Con l’emancipazione femminile molta enfasi è stata dedicata ai sacrosanti diritti delle donne, ma non si discute mai sul dovere di modificare certi loro atteggiamenti, che qui definirò impropriamente “tribali”.

Un esempio di comportamento tribale femminile: tutti gli addetti ai lavori in una causa di separazione dove c’è di mezzo una mamma e una figlia conoscono le dinamiche ombelicali che si innescano tra le due. Anche i non addetti lo sanno, ma danno per scontato che sia una normale caratteristica femminile quella di manipolare il rapporto con una figlia, allontanandola dal padre. I meccanismi tribali sono rimasti, ma fanno veramente parte della natura femminile, oppure è solo un retaggio culturale da smantellare una volta che è venuto a mancare il contesto che l’aveva creato?

Ora entro nel vivo spinoso di questo articolo: gli uomini che odiano le donne. Sono aumentati gli omicidi delle donne da parte degli uomini, oppure in passato se ne parlava di meno? La violenza sulle donne da parte di uomini educati male e cresciuti peggio è aumentata, oppure quella tragica realtà era occultata, o peggio, giustificata? Non sono in grado di rispondere, ma credo che ai giorni nostri ci sia un equivoco di fondo. Fateci caso: ogni volta che si parla di un uomo che uccide una donna, manca sempre l’approfondimento della causa, che invece viene quasi sempre sviscerata in omicidi “generici”.

Il rapinatore uccide un uomo che si rifiutava di consegnargli l’orologio. La dinamica giustifica in qualche modo l’omicidio? Assolutamente no! Il padre di Pierino uccide con un cric l’allenatore di calcio che lasciava sempre Pierino in panchina. La ragione del padre attenua la gravità della sua azione? Ma neanche per idea! Un figlio ammazza i genitori perchè voleva ereditare, e vivere la bella vita. Il movente assolve l’omicida? Macchè!

Il Grande Morbo non discrimina il rapinatore, e nemmeno il padre folle, o il figlio depravato, ma davanti al cosiddetto “femminicidio”, appiattisce il rapporto tra uomo e donna. In molti degli omicidi più mediatici si interpretano le ragioni psicologiche più profonde del gesto efferato, ma col femminicidio le spiegazioni sono spesso nebulose e generiche: “gelosia” oppure “distorto senso del possesso”. Quando un uomo è violento nei confronti di una donna, il crimine è come se cadesse dal pero.

Quando gli uomini uccidono le donne, un’attenta analisi delle cause svierebbe l’attenzione mediatica sul femminicidio, parola che interessa solo a scatola chiusa. Si andasse a scavare nelle motivazioni più profonde, uscirebbero tanti cadaverini occultati nell’armadio dal Grande Morbo. Molte di quelle ragioni potrebbero avere a che fare con le tecniche di potere liquido e tribale che continua ad essere esercitato dalle donne, in un contesto che non le giustifica più.

Le donne hanno abbracciato entusiasticamente i diritti faticosamente guadagnati, ma troppa poca enfasi è dedicata ai loro doveri. E’ sacrosanto condannare gli uomini che odiano le donne, ma sarebbe opportuno poter discutere delle donne che, tramandando un anacronistico comportamento tribale, odiano se stesse.

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