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13Apr 23
C’est le ton qui fait la musique
Nei film hollywoodiani con venature patriottiche, spesso il cretino ha l’accento francese, oppure ha vezzi riconducibili ai cugini d’oltralpe. Ne ricordo due: in Die Hard I, la macchietta che cerca di scendere a patti con i terroristi assomiglia allo stereotipo dell’uomo francese visto dagli Stati Uniti; inutile dire che finisce molto male. Il film Flight 93 narra la storia di uno dei voli dirottati l’11 Settembre, con l’eroico sacrificio dei passeggeri grazie al quale l’aereo si schiantò in aperta campagna, anzichè sul Campidoglio. L’unico codardo che nel film vuole trattare con i tagliagole islamici ha un inequivocabile accento francese.
Questa volta la realtà ha superato la finzione: le parole di appeasement cinese di Emmanuel Macron, gonfio come la mongolfiera che lo riportava a casa dopo un vertice di tre giorni con Xi Jinping, lasceranno il segno. Talvolta i presidenti francesi hanno la capacità di dire cose sacrosante, senza però ottenere quel minimo di “effetto suolo” continentale (se non globale) al quale ambiscono. Questo accade quando calano dall’alto le loro fantasie napoleoniche, anzichè arrivarci attraverso il consenso del continente che hanno l’ambizione di rappresentare.
E’ accaduto a Jaques Chirac che nel 2003 si era schierato contro la guerra in Iraq innescata dagli Stati Uniti, una scelta di campo coraggiosa di uno che però nel 1995 si era insediato all’Eliseo facendo esplodere bombe atomiche sotterranee a Mururoa (Gennaio 1996). Oppure quando nel 2010 Nicolas Sarkozy si schierò contro lo strapotere del PIL, ma senza un’alternativa credibile a questo parametro che in effetti non rappresenta la qualità della vita, il messaggio si perde, e rimane l’impressione caricaturale della sindrome onnipotente del bassotto (qui).
Ora siamo daccapo, con Emmanuel Macron che propone un nuovo ordine mondiale (occhi dolci alla Cina e cipiglio funesto nei confronti degli Stati Uniti) senza che un seguace che sia uno sia disposto a seguirlo nella sua crociata. E’ particolarmente preoccupante che Macron abbia cambiato la sua opinione sulla politica aggressiva cinese nei confronti di Taiwan dopo quattro ore a quattr’occhi con Xi, sconfessando le opinioni dure espresse poche ore prima dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sul medesimo tema.
Macron è volato in Cina nel settimo anniversario della fondazione del partito En Marche, un’entità a “tre teste” che mise insieme il DNA di sinistra, centro e destra, e gli spalancò le porte dell’Eliseo. Qualcosa era nell’aria, visto che quello stesso giorno, 6 Aprile 2016, nacque il primo bambino concepito attraverso la fecondazione con il DNA di tre genitori. Anche questa volta il presidente francese ha cercato di riproporre il vertice “a tre”, portando con se la von der Leyen all’incontro con XI Jinping, ma è riuscito nell’intento contrario che si era proposto, infangando quel poco di autorevolezza politica che era rimasta alla UE.
La notizia della fondazione di En Marche era annunciata in un trafiletto a pagina 14 dei quotidiani italiani del 7 Aprile 2016. La “sparata” del 2023, invece, merita la “prima” sui giornali mondiali.
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