Nel suo editoriale sul Financial Times del 16 Settembre, Gideon Rachman spiega come, di solito, riesca a dedurre da una singola opinione l’intera costellazione di idee di una persona. Ma sulle guerre in Ucraina e Gaza la mappa diventa molto meno prevedibile. Rachman individua quattro categorie.

1.⁠ ⁠Pro Ucraina e pro Israele.
Entrambi i Paesi sono visti come democrazie sotto attacco. Bernard-Henri Lévy ha respinto l’accusa di genocidio contro Israele, sostenendo che un esercito genocida non impiegherebbe due anni per sconfiggere un territorio “grande come Las Vegas”.

2.⁠ ⁠Pro Ucraina e pro Palestina.
Al centro ci sono i diritti umani e la condanna dei crimini di guerra. Russia e Israele vengono accusati di colpire civili innocenti. Non a caso la Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto contro Putin e Netanyahu. Tra i più rappresentativi, Pedro Sánchez, che ha accusato l’Occidente di ipocrisia e Israele di genocidio.

3.⁠ ⁠Pro Russia e pro Israele.
Viktor Orbán incarna questa posizione: vicinanza a Mosca per ragioni di nazionalismo e diffidenza verso le istituzioni sovranazionali come NATO e UE. Sostegno a Israele in contrapposizione all’immigrazione islamica. Anche Donald Trump sembra collocarsi qui, seppure per ragioni diverse da quelle di Orbán.

4.⁠ ⁠Pro Russia e pro Palestina.
Tucker Carlson è il volto più noto: per lui Israele e Ucraina cercano di trascinare gli Stati Uniti in guerre altrui. Rachman non lo ha menzionato, ma è anche la posizione di chi rifiuta l’uso della democrazia come grimaldello per oltrepassare linee rosse geopolitiche.

Aggiungo una quinta categoria non inclusa nell’editoriale del FT:

5.⁠ ⁠Chi non teme di cambiare idea quando i fatti contraddicono la posizione originaria. Non è incoerenza, ma semplice igiene mentale.

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