“Se ci si impegna si arriva dove si vuole“. “Tutto è possibile, basta crederci e lottare”. Frasi come queste, nell’odierna società capitalista, sono state assimilate come valori condivisi. Sono la base di quel concetto chiamato “meritocrazia”, per il quale, nella contemporaneità liberale, priva di caste e rigide divisioni gerarchiche, i meritevoli ottengono sempre un risultato. Ma è davvero così? Se sicuramente questa idea è stata realistica nel dopoguerra, quando le economie miste dell’Europa occidentale offrivano a tutti una possibilità di crescita dopo le miserie del conflitto e il boom economico guidava lo sviluppo di un benessere diffuso, oggi, nella società del liberismo assoluto, che produce una concentrazione della ricchezza verso l’alto, i dati sembrano riferire una realtà diversa.

Secondo l’OCSE, in un Paese sviluppato (si parla proprio del nostro idolatrato Occidente: Italia ma anche Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna…), per un bambino nato all’interno di una famiglia a basso reddito, sono oggi necessarie mediamente ben cinque generazioni prima che un suo erede possa entrare nella cosiddetta classe media. Cinque generazioni. In termini di tempo si tratta, all’incirca, di un secolo e mezzo. Un’infinità di tempo. E no, non è sempre stato così. Perché sono i medesimi dati OCSE a spiegare come, per i nati tra il 1955 e il 1975, l’ascensore sociale fosse più che una bella favola. E non è finita qui. Già, perché anche la cultura tende a essere ereditaria. Cosa che, peraltro, non deve stupire visti i costi di un’istruzione universitaria di buon livello. Si pensi che, in Italia, due terzi dei figli di genitori a basso reddito non conseguono una laurea. E nel resto dei Paesi occidentali non va tanto meglio, la media è comunque di circa uno su due. Va beh, dirà qui qualcuno, ma c’è sempre la possibilità di emergere grazie al lavoro, migliorando così, se non le finanze personali, almeno la propria posizione.  Macché. Secondo dati ISTAT, in Italia tra i giovani tra i 15 e i 35 anni che trovano un impiego, ben quattro su 10 lo trovano grazie alla segnalazione di parenti, amici e conoscenti. Con una disoccupazione giovanile al 40% da anni è abbastanza semplice intuire che chi possiede relazioni in grado di procurare un lavoro le abbia grazie alla posizione sociale che (già) occupa. E se si pensa che il problema riguardi solo l’Italia si è fuori strada. In sintesi, piove sempre e solo sul bagnato. Fa soldi chi ha soldi per farli, lavora in posti di prestigio chi ha le conoscenze o il potere per arrivarci. Punto. Il resto sono solo favole per tenere buoni gli “incazzati”. Eppure non c’è giorno in cui qualcuno non magnifichi la “meritocrazia”. Che, allo stato attuale, è più che altro uno strumento ideologico, un meccanismo di difesa di un sistema che si è ormai completamente incartato, ma che rifiuta di ammetterlo, urlando contro provvedimenti come il reddito di cittadinanza, perché sarebbero “anti-meritocratici”. Uno strumento ideologico, la meritocrazia, che in questo sistema economico in cui l’1% della popolazione mondiale detiene l’82% della ricchezza del pianeta non può che essere una splendida (ma del tutto inesistente) utopia.

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