Copertina-4-2019-PrimaIntervenendo alla 74esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente statunitense Donald Trump ha voluto ribadire, come se ce ne fosse stato bisogno, l’ostilità del suo paese verso l’Iran. E proprio l’Iran è l’argomento principe del 56esimo numero di Eurasia – Rivista di studi geopolitici, di imminente uscita, all’interno del quale è contenuto anche un modesto contributo di chi qui scrive.

Un tema importante, del resto, quello dell’Iran, che merita di essere conosciuto e approfondito anche da un pubblico di non addetti ai lavori, per poter meglio comprendere le dinamiche che ruotano attorno alla questione, spesso affrontata in maniera molto superficiale dai media generalisti. Dopo la decisione degli USA di recedere dal JCPOA, il paese degli ayatollah vive infatti rapporti diplomatici concitati con la cosiddetta “comunità internazionale”. Eppure, solo due anni e mezzo fa, sembrava che le relazioni tra Teheran e l’Occidente potessero normalizzarsi. A spiegare dove nasce questa situazione (e quali siano i rischi che ne conseguono) è il professor Claudio Mutti, direttore proprio di Eurasia.

“L’origine della situazione attuale – spiega il professor Mutti – è facilmente documentabile, poiché la lista delle affermazioni anti-iraniane del presidente statunitense è piuttosto lunga. Qui basterà ricordare quella del marzo 2016, quando, nel corso di un incontro con esponenti dell’ebraismo americano, Trump definì ‘catastrophic’ per gli USA e per Israele l’accordo sul nucleare iraniano. Al termine di quello stesso anno, il conservatore Mark Wallace e il democratico Joseph Lieberman pubblicarono sul ‘Washington Post’ un saggio che tracciava le linee guida circa il comportamento da tenere nei confronti della Repubblica Islamica, indicata come la minaccia più grande per gli interessi statunitensi. Il testo raccomandava alla nuova amministrazione di ridimensionare il ruolo regionale dell’Iran operando a stretto contatto con Israele e l’Arabia Saudita. Diversamente dagli USA, l’Unione Europea è sembrata particolarmente propensa a mantenere in vigore l’Accordo di Vienna, giudicato favorevole per sviluppare le relazioni economiche con Teheran; ma il rischio è che ancora una volta le classi politiche europee si pieghino alla volontà dell’’alleato’ americano”.

Il timore, anche in seguito al recente attacco alle raffinerie dell’ARAMCO in Arabia Saudita, è che la situazione possa raggiungere il punto di non ritorno. Ma la domanda che tutti si pongono è: esiste la possibilità di un conflitto? E, se sì, quali dimensioni potrebbe assumere? Quello di una guerra regionale su vasta scala o qualcosa di peggio?

“Rispondendo alle accuse, alle minacce e alle dichiarazioni bellicose di Trump e di Mike Pompeo – prosegue Mutti – il cancelliere dell’Iran Mohammad Zarif ha dichiarato che ‘il paese che inizierà una guerra contro l’Iran non sarà quello che la porterà a termine’. In ogni caso, se non si riuscirà ad evitare lo scoppio di una guerra, il conflitto non sarà limitato, ma si estenderà a tutta la regione ed avrà effetti distruttivi per molti paesi. D’altronde, in seguito al comunicato statunitense concernente l’invio di nuove truppe nel Vicino Oriente e come implicita risposta all’’Operazione Sentinella’, nell’ambito della quale gli USA schiereranno oltre cinquanta unità navali nelle vicinanze del Golfo Persico, il Ministero iraniano della Difesa ha annunciato che molto presto la Repubblica Islamica effettuerà manovre navali congiunte con la Russia e la Cina nelle acque internazionali del Golfo di Oman. Il segnale dato agli USA è eloquente: se l’Iran venisse aggredito, i suoi alleati non starebbero fermi a guardare”.

Nell’immaginario collettivo lo scontro tra l’Occidente euro-americano e “giudeo-cristiano” e la Repubblica Islamica raccoglie l’eredità dello scontro fra Greci e Persiani. Eppure le radici culturali del Vecchio Continente sono indoeuropee, esattamente come quelle iraniane.

“Secondo Eschilo – racconta al proposito il direttore di Eurasia – che pure combatté a Maratona e forse anche a Salamina, le radici comuni erano addirittura d’ordine etnico, tant’è vero che nei Persiani egli ci presenta Atene e la Persia come ‘sorelle di sangue, di una medesima stirpe’ (kasignéta ghénous tautoû). D’altronde le guerre persiane furono viste dai Greci secondo angolazioni diverse; e comunque, nonostante il risalto che essi poterono dare alla differenza esistente tra la loro cultura politica e quella della Persia, la visione greca della realtà persiana non solo non fu mai interamente condizionata da sentimenti di antagonismo, ma spesso suscitò profondo interesse e sentimenti di ammirazione. In realtà, il mondo iranico e la nazione persiana in particolare hanno trasmesso all’Europa, ancora nella tarda età imperiale romana ed in età medioevale, una cospicua eredità di idee, relativa all’organizzazione dello Stato e della società civile”.

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Anche in termini di collegamenti infrastrutturali e di scambi, l’ostilità diplomatica appare estremamente sconveniente. Non per nulla i dirigenti politici dell’Europa continentale (in primo luogo Germania e Francia) stanno tentando di porre un argine all’aggressività statunitense. Tuttavia i rappresentanti della classe dirigente persiana non sembrano nutrire troppa fiducia verso l’élite liberale di Parigi e Berlino. Che facciano bene?

“È vero – conclude il professor Mutti – che la Germania e la Francia (come d’altra parte il Giappone) hanno rifiutato di accodarsi agli USA nella cosiddetta ‘Operazione Sentinella’. È vero che Macron ha fatto i suoi tentativi di mediazione ed ha invitato alla cautela esortando a ‘stare molto attenti nell’attribuire la responsabilità’ all’Iran per gli attacchi del 14 settembre contro l’ARAMCO. Ma è anche vero che, solo qualche ora dopo la dichiarazione di Macron, un comunicato congiunto anglo-franco-tedesco, pur sostenendo la necessità di ‘stabilire ulteriori dettagli’, ha affermato che ‘l’Iran ha la responsabilità dell’attacco’ contro le strutture petrolifere saudite. Ed è ugualmente vero che la Merkel, dopo avere incontrato sia Trump sia Rohani, ha detto di non ritenere ‘realistica’ la condizione della revoca delle sanzioni per avviare i negoziati tra USA ed Iran. Perciò non bisogna stupirsi più di quel tanto se il comandante generale del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica ha reagito con parole dettate dall’indignazione, dicendo che ‘non vi è alcuna differenza tra europei e americani’.

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