1382621985-gates1Mentre nel mondo ci si avvia verso la cosiddetta “Fase 2” della pandemia da Coronavirus, cioè quella di una timida e parziale riapertura delle attività, ancora non sembrano esserci dati certi sull’origine della patologia. E neppure su una possibile cura. Tanto che, sebbene il momento sia caratterizzato a livello globale da una sempre più insistente presenza di virologi e infettivologi che intervengono sui media e, in alcuni casi, dettano la linea di nazioni e governi, la comunità scientifica sta senza dubbio accusando un calo di credibilità, dividendosi in fazioni sostenitrici di pareri fortemente discordanti tra loro. In Italia, uno dei Paesi purtroppo più colpiti, ha, per fare un esempio, tenuto banco nelle ultime settimane lo scontro a distanza tra il professor Giulio Tarro, infettivologo allievo di Albert Sabin (padre del vaccino contro la poliomielite), virologo e primario emerito dell’ospedale Cotugno di Napoli e l’onnipresente Roberto Burioni, professore di Microbiologia dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano. Il primo, nel corso di un’intervista a TPI, ha sostenuto che: “il virus può essere controllato con le normali misure igieniche e con la diffusione degli anticorpi: la dimensione del contagio verrà abbattuta dal cambio di clima indotto dalla stagione estiva, anche al nord”, auspicando dunque una fine del lockdown imposto dal Governo di Giuseppe Conte nel belpaese. Secondo Tarro, le percentuali di mortalità andrebbero sdrammatizzate, perché “non è possibile che in Germania siamo al 3 per cento di mortalità e in Lombardia al 18,7 per cento. È matematicamente impossibile. Da noi i contagiati reali sono molti di più di quello che non dicono i tamponi. Solo che non li monitoriamo, per via del modo in cui facciamo i tamponi. Esiste uno studio su un caso particolare che però può essere preso a misura. Sul Corriere della Sera due ricercatori, Foresti e Cancelli, hanno usato come modello la Diamond Princess, la nave da crociera dove lo screening ha investito il 100 per cento della popolazione censibile. Quello è l’unico luogo al mondo dove le percentuali di contagio sono ‘giuste’ perché tutti sono stati monitorati uno ad uno con i tamponi. Il classico caso di scuola. Se si proiettasse quel dato, a marzo nel periodo coevo, avremmo già in Italia 11 milioni e 200mila contagiati. Una enormità. Questo dato “reale” farebbe calare la percentuale di mortalità italiana. Perché se questa è la proporzione significa che il tasso di reale mortalità è più basso di quello apparente”. Le tesi del professor Tarro hanno inviperito Burioni, sostenitore della linea dura, il quale lo ha duramente apostrofato. La risposta del virologo napoletano? “Questo Burioni brillante polemista è forse lo stesso famoso virologo Burioni che il 2 febbraio disse: ‘In Italia non ci sarà nemmeno un caso di Covid?’”.

PER PAOLO BECCHI I MORTI IN ITALIA SONO MENO CHE NELL’ULTIMO QUINQUENNIO…

Nel frattempo va detto che, mentre la narrazione mediatica dell’epidemia raggiunge ormai ovunque livelli apocalittici, secondo alcuni dati ISTAT, la mortalità in Italia del primo quadrimestre del 2020 sarebbe inferiore alla media nazionale degli ultimi cinque anni. “Il crollo del PILriportano in un articolo sul Sole 24 Ore online Paolo Becchi e Giovanni Zibordi atteso in Italia ora è dell’ordine del 20% (…). Una buona parte di questo disastro economico è autoinflitto perché l’Italia è il paese che ha adottato il ‘modello Wuhan’ di chiusura totale (…) prima e più di qualunque altro (…). In Italia si assume che questo ‘total lockdown’ stile Wuhan sia giustificato data la mortalità triplicata o quadruplicata a Bergamo, Brescia, Piacenza, Pavia e altre province del Nord nel mese di marzo rispetto agli anni precedenti e si possono leggere articoli che citano ’14mila morti in più’. (…) In Italia siamo circa in 60 milioni, abbiamo 650 mila decessi l’anno e circa 230 mila decessi nel periodo gennaio-aprile e quest’anno, in base ai dati Istat, non si riscontra un aumento complessivo di mortalità rispetto agli anni precedenti. Nessuno ovviamente nega che in Lombardia, a Piacenza, in diverse province del Veneto e in Piemonte o persino a Genova si verifichi un picco drammatico di decessi rispetto agli anni precedenti, ma quando parliamo della mortalità complessiva nel nostro Paese, le cause dei decessi sono diverse, le province afflitte dai casi di Covid hanno un 20% della popolazione e questo inverno, come hanno notato diversi report (…) c’erano meno morti del solito. Se ci limitiamo a rilevare allora i dati dei decessi nazionali da inizio anno vediamo che, per gli anni precedenti, l’Istat fornisce un totale, dei primi 4 mesi dell’anno di 231 mila morti (arrotondando alle migliaia), parliamo di tutti i morti dal 1 gennaio al 30 aprile in tutta Italia. Quest’anno, alla data dell’ultimo aggiornamento del 13 aprile, siamo arrivati a 191 mila decessi. Per fare un confronto dobbiamo allora stimare quanti saranno allora i decessi nell’aprile 2020 per il quale abbiamo i dati fino al 13 aprile. Dato che ad esempio il 13 aprile ci sono stati 1.457 decessi, stimiamo il totale dei decessi per il resto del mese di aprile come 1.457 X 17 giorni = 25 mila decessi (arrotondando alle migliaia). Se allora sommiamo ai 191mila decessi alla data del 13 aprile (partendo dal 1 gennaio), la stima di altri 25 mila decessi nel resto del mese di aprile, ottengo 216mila decessi nei primi 4 mesi del 2020 in Italia complessivamente. Dato che la media degli anni precedenti è di 231 mila decessi (sempre nei primi 4 mesi dell’anno), si avrebbe che nel 2020 si stanno verificando meno decessi (…). In parole povere, in base ai dati pubblicati finora, non è morta più gente quest’anno rispetto agli anni precedenti in Italia nel suo complesso – fermo restando, ripetiamo, che in Lombardia, a Piacenza e altre province da fine febbraio c’è stata un mortalità tripla in media della media. (…) L’obiezione che il lockdown abbia ridotto la mortalità al punto di farla scendere persino sotto la media storica non sembra valida perché quella italiana è la seconda più alta del mondo per il Covid, con 338 morti per 1 milione di abitanti e tanti paesi che non hanno messo tutti agli ‘arresti domiciliari’ come noi (Corea, Giappone, Taiwan, Hong Kong, Australia, Svezia) hanno mortalità inferiore a 90 morti per 1 milione. Anche Paesi che hanno applicato una via di mezzo come l’Olanda e gli USA hanno mortalità dimezzata rispetto a noi. Sembra cioè poco plausibile che senza lockdown l’Italia avrebbe avuto una mortalità ancora più alta, visto che tanti altri paesi che lo applicano molto meno hanno anche molti meno morti. Del resto la Germania sta ottenendo ottimi risultati nel contenimento del virus con una politica che lascia molte libertà ai cittadini.Lasciamo ad altri le spiegazioni nel merito. Ci limitiamo ad osservare che non è la mortalità eccessiva a livello nazionale che giustifica il blocco prolungato dei diritti e della vita degli italiani. (…)”.

Limitazioni che, ora, sembrano raggiungere nuovi livelli con la app governativa “Immuni”, che traccerà gli spostamenti dei cittadini e l’adesione alla quale ancora non si è capito quanto potrà essere volontaria, pena una limitazione della libertà di movimento. Misure dal vago sapore orwelliano e totalitario, che fanno il paio con le ipotesi complottiste sull’origine del Covid-19.

BILL GATES, IL VACCINO E I RAPPORTI CON L’OMS

Tra le tesi complottiste più in voga vi è quella che vede nel magnate statunitense dell’informatica Bill Gates (patron della Microsoft) tra i possibili registi occulti della pandemia. Tesi sicuramente bizzarra, ma che si basa però su alcune curiose coincidenze, non le sole relativamente a questa epidemia (se ne era già ampiamente discusso su questo blog). La prima è quella che vede Gates molto influente sull’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità che redige i protocolli poi adottati da vari Paesi per la prevenzione del contagio, tra cui il mal digerito e liberticida distanziamento sociale. Come si apprende da diversi articoli di stampa, infatti, Gates è “il donatore privato più influente nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, preceduto solo dalle donazioni pubbliche degli Stati Uniti (che adesso potrebbero diminuire in modo sostanziale dopo le accuse del disastro causato dal coronavirus negli USA) e seguito dal Regno Unito. Inoltre è stato il primo privato a partecipare all’assemblea generale dei paesi membri dell’OMS”. Va poi aggiunto che “secondo Antoine Flahault, direttore dell’Istituto di Sanità Globale della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra, la presenza dei Gates nell’Organizzazione Mondiale della Sanità sta diventando un po’ troppo invadente”. Inoltre, da un articolo di Martino Grassi per la testata economico-finanziaria Money.it, si apprende che negli ultimi 50 anni gli ingressi nelle casse dell’OMS sono profondamente cambiati, nel 1970, il bilancio dell’Organizzazione era composto da un 80% proveniente dagli Stati membri, ed un restante 20% da donatori privati, nel 2016 il rapporto si è completamente ribaltato, con il risultato che interi dipartimenti e progetti sono interamente appannaggio della fondazione Bill & Melinda Gates. Nicoletta Dentico, direttrice della ONG di Ginevra, Health innovation in practice ha dichiarato alla tv svizzera che: ‘Questo ha, inevitabilmente, un impatto. Non tanto su quello che l’OMS dice ma, piuttosto, su quello che omette di dire’”. 

Ora, Gates, che nel 2015 aveva previsto che il prossimo grave problema dell’umanità sarebbe stato causato da “un agente patogeno”, con oltre 250 milioni di dollari è anche il finanziatore del principale progetto di vaccino contro il Coronavirus. Quella delle donazioni, da parte della famiglia Gates (che, al contrario della narrativa “ufficiale” non è nata con il giovane Bill, smanettone informatico nel garage di casa) è una tradizione di lunga data. Come riporta Maurizio Blondet, “il nonno, il pastore battista Frederick Taylor Gates (1853-1929) co-azionista della Standard Oil” era “intimo consigliere di John D. Rockefeller, per il quale inventò e organizzò secondo una precisa ideologia il sistema di ‘donazioni filantropiche’ esentasse del miliardario”. Un progetto, quello del vaccino, che si affianca alla visione di “un un futuro non troppo lontano” in cui “potremmo trovarci a inserire un microchip sottocutaneo con i dati di un archivio sanitario digitale, vaccini inclusi, per poter varcare le frontiere in tutta tranquillità. Lo scenario sembra lontano ma non troppo se Bill Gates sta già pensando di lanciare delle capsule sottocutanee impiantabili che accertino l’avvenuta vaccinazione per il Coronavirus. Certificati digitali biocompatibili su cui sta lavorando il MIT di Boston con la Rice University, da abbinare a ID2020, un ambizioso progetto di identità digitale”, come ha raccontato su Il Sole 24 Ore Barbara Carfagna. 

Data la per lo più acritica adesione, da parte delle masse mondiali, alle pesanti misure imposte in mezzo mondo, su suggerimento dell’OMS e dei suoi esperti di riferimento, con il lockdown, c’è la seria possibilità che questa prospettiva, decisamente distopica, possa essere accolta con favore popolare. Perché, quando a rischio c’è la libertà, il virus più pericoloso è, purtroppo, quello dell’omologazione.

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