All’interno di una realtà come quella occidentale contemporanea, già pesantemente frammentata e divisa da recriminazioni identitarie di ogni tipo, non mancava di certo uno scontro tra i due poli costitutivi di quel nucleo fondante di ogni società che è la famiglia naturale: il polo maschile e il polo femminile. Eppure è potuto accadere anche questo e, per rendersene conto, basta dare un’occhiata alla piega presa dal dibattito sui cosiddetti femminicidi, dove la posizione prevalente non è più quella di una sensibilizzazione contro l’inaccettabile violenza nei confronti del “sesso debole”, ma piuttosto quella che intende aprioristicamente colpevolizzare il maschio in quanto tale. Inutile dire che non poca parte del “merito” vada riconosciuta alle amazzoni neo-femministe della lotta al “patriarcato”, ennesima testa dell’idra radical-progressista affamata di distruzione e negazione di ogni ordine, di ogni armonia e di ogni equilibrio e ma del tutto incapace di proporre un’alternativa costruttiva ai modelli consolidati.

Giunge dunque in un momento certamente opportuno l’ultima fatica dell’archeologo, antropologo ed etnografo Mario Polia, dal titolo “La donna romana. Mater et sacerdos” e pubblicato dall’infaticabile fucina di Cinabro Edizioni. Il saggio, di ben 366 pagine (prezzo di copertina 25 euro), intende indagare quale fosse la concezione del femminile e del ruolo della donna nella tradizione della Roma antica. Uno spazio importante, poi, è dato a quello che era il rapporto tra la donna e il Sacro (Polia è specialista di antropologia religiosa, ed è stato, tra le altre cose, titolare dell’insegnamento di “Antropologia” alla Pontificia Università Gregoriana di Roma): emerge così, in tutta la sua complessità, quel doppio ruolo di madre e sacerdotessa (“mater et sacerdos”, per l’appunto) che la figura femminile assumeva all’interno della cultura romana.

Attraverso questo doppia dimensione, sacerdotale e materna, la donna romana, da un lato mediatrice e custode del fuoco sacro e, dall’altro, punto di riferimento imprescindibile per l’istituzione familiare, rivestiva un’importanza che smentisce categoricamente quelle riletture, errate fin dai presupposti (cioè l’assurda critica del passato con gli occhi della contemporaneità, procedimento che trova il suo culmine nella devastante cancel culture), che intendono dipingere e accomunare ogni epoca antecedente all’attuale come un unico e indistinto evo oscuro, in cui le donne sarebbero state prevalentemente (se non esclusivamente) vittime di oppressione e senza alcuna rilevanza. Quest’ultimo saggio di Polia può essere, da questo punto di vista, addirittura salvifico per coloro (lettori e, soprattutto, lettrici) che avranno la fortuna di sfogliarlo, riuscendo a rendere perfettamente le peculiarità della società di Roma per la vita delle donne e, con questo, a fornire qualche strumento utile a valutare e giudicare le storture del presente.

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