Quando la croce celtica guardava alla mezzaluna: il nuovo saggio su Islam e destra radicale
Ci sono pagine della storia italiana che sembrano destinate a rimanere in penombra. Non per mancanza di fascino, anzi: perché troppo scomode, troppo difficili da incasellare nelle narrazioni consolidate che ancora oggi modellano la memoria pubblica (e che trovano sovente riscontro nell’attualità politica, dove i diversi schieramenti appaiono felicemente inseriti in stereotipi costruiti ad arte). La croce celtica e la mezzaluna, nuovo volume della collana Politikón di Cinabro Edizioni
, scritto da Andrea Biondo, si colloca esattamente in questa zona d’ombra. E lo fa con l’ambizione – rara e preziosa – di riportare alla luce una vicenda complessa, stratificata, perfino sorprendente: quella dei rapporti tra neofascismo italiano e mondo arabo-islamico tra il 1950 e il 1990.
Un paradosso apparente, certo. Per decenni, nel mainstream, si è preferito coltivare l’idea di una destra italiana chiusa, identitaria, impermeabile ai venti del mondo. Biondo mostra invece un quadro ben diverso: quello di un milieu politico che, pur tra mille contraddizioni, sviluppò interlocuzioni e simpatie verso i movimenti di liberazione mediorientali proprio negli anni in cui la Sinistra guardava con occhi romantici ai kibbutz israeliani. Un rovesciamento di prospettiva che spiazza il lettore contemporaneo, abituato a paradigmi che oggi sembrano granitici ma che, nella Guerra fredda, erano tutt’altro che tali.
Il libro – 334 pagine dense di spunti – ricostruisce con rigore e ritmo narrativo un mosaico che attraversa l’intero scacchiere afro-asiatico: dall’Egitto di Nasser alla Libia di Gheddafi, dal Libano dei campi profughi alla Palestina dei fedayn, fino all’Afghanistan dei mujaheddin, dove non mancò la presenza di giovani militanti provenienti dall’area neofascista italiana, attratti dal mito dell’antimperialismo e dalla suggestione di una “terza forza” alternativa sia a Washington che a Mosca.
Biondo, esperto di comunicazione che da anni studia la storia della destra radicale degli anni di piombo, non indulge né alla nostalgia né alla demonizzazione: osserva, ricostruisce e lascia parlare i protagonisti. Ne emerge un mondo attraversato da fratture e scissioni interne, dai fermenti del Movimento Sociale Italiano alle galassie movimentiste che gli ruotavano attorno, fino agli estremismi dei NAR, anch’essi toccati dall’idea che nel mondo arabo si giocasse una partita decisiva contro l’egemonia delle superpotenze.
Il risultato è un’opera che colma un vuoto storiografico e offre, allo stesso tempo, una chiave di lettura nuova per comprendere la cultura politica di una parte del neofascismo italiano nel secondo Novecento. Una storia “segreta”, come recita il sottotitolo e, proprio per questo, da riscoprire. La croce celtica e la mezzaluna non è solo un libro: è un invito a riconsiderare categorie troppo spesso date per scontate. E a riconoscere che le realtà politiche, anche quelle più scomode e radicali, non vivono mai solo di schemi stereotipati.
