Il ciclo mestruale salverà il mondo dagli “abbonamenti gender”
La teoria gender esiste, non esiste, si palesa, si nasconde? Non sta a me dirlo, non spetta alla pubblica opinione, forse, certificarne o meno l’esistenza. Eppure qualcosa si è mosso controvento e contro senso. Una riflessione veloce non fa male a nessuno. Del resto, siamo o non siamo tutti emancipati e forti da essere proiettati verso il progresso ed oltre? Insomma c’è un lupetto con due mamme lupe. Tre cervi con una mamma lupo e, in abbonamento, un papà castoro o, con un’integrazione di cinquanta centesimi rispetto al prezzo standard, un papà zebra. Qual è la battaglia della civile modernità? Far capire al piccolo, alla piccola, che discriminare è una letterale bestemmia, un ammennicolo vintage, non più “necessario” oggigiorno o che, ad un certo punto della propria esistenza, qualsiasi, anche a due anni, può scegliere se rivalutare eticamente se stesso ed il suo pisellino, riplasmarne la funzione primaria, rompere lo schema logico, attaccare il telefono in faccia alla natura, snaturarsi in nome del libero arbitrio che, tanto è certo, “tutti possediamo”?
Mi fa ridere l’idea di abbonarsi a Mediaset Gender. Per carità, il termine Mediaset è utilizzato con un senso assolutamente evocativo, non in maniera critica e/o polemica (sincero disclaimer).
Ora. Sempre nei limiti dell’umano rispetto e senza entrare volutamente nel merito antropologico, filosofico, finanche sociologico del perché e del per come si prendano iniziative, soprattutto in ambito scolastico, o si parli di questioni legate alla “teoria gender”, mi viene da pensare. La bimba che giocava col trattore in miniatura e il bimbo che faceva danza classica esistono da sempre. Lo zio ci scherzava serenamente su, il papà non si spiegava, la mamma si preoccupava, in un climax di esagerazione, eppure, fino a questo momento, nessuno aveva mai pensato di accusarli di disforia di genere o di sospendere la pubertà a quei ragazzi/e che non si riconoscono nel proprio sesso come fanno in una clinica olandese (come ricorda Monica Ricci Sargentini sul Corriere), insomma di intervenire con celerità ed urgenza.
Da oggi, ragazzo, puoi scegliere per te il pacchetto più vantaggioso. Non aver cura del fatto che, magari, lo hai scelto quando non ti rendevi conto del tutto di cosa stessi facendo, tanto, a sentire qualcuno, sei intelligente e perfettamente emancipato fin da subito; non aver cura degli effetti eventuali che questa scelta potrebbe avere molti anni dopo. Abbonati all’annullamento genetico di differenze fondanti e, in regalo, avrai un futuro da vero cittadino moderno e civilizzato.
Dato lo stato di necessità in cui siamo continuamente infilati e la logica del profitto capace, oramai, anche di superare la logica umana e naturale, in un tripudio di effetti disumanizzanti, stiamo andando ad infilarci in una consequenzialità di azioni proprie del marketing, mi pare. Ma si può fare del marketing con il destino individuale e sociale delle persone? La pubblicità del detersivo che, qualsiasi cosa tu stia facendo, ti ricorda l’inevitabile supplizio di lavare i piatti vince bene rispetto alle altre. Gli altri detersivi ne perdono in efficacia commerciale, coperti dalla trovata geniale di un’azienda “avversaria”. Ottimizzare i costi, aumentare la competitività, spesso a costo di qualsiasi spesa, non sempre ponderando. Ottimizzare la vita per renderla solo come la vogliamo noi, oltre tutto, oltre qualsiasi considerazione, oltre il buon senso, ogni regola, spesso a costo di qualsiasi tragitto, non sempre ponderando. Insomma tutta questa capacità di scelta, dei pacchetti più vantaggiosi, minor prezzo massima resa, ricorda molto ciò che sta accadendo, piuttosto che riportare ad un sano e naturale confronto con la propria sessualità.
Un conto è il becero ed imbecille effetto discriminante verso persone che amano altre persone dello stesso sesso. Un conto è il rispetto, assoluto, verso l’omosessualità che non da un’immagine sciocca di sé, contro ogni sterile moralismo antico. Un conto è chiedersi se, almeno nell’ambito degli studi sul gender e sulle applicazioni consequenziali, non si stia fortemente esagerando!
Certi argomenti, forse, non andrebbero neanche evidenziati con tanta foga a chi, per età, per natura e per condizione primordiale ed intima, non abbia ancora del tutto formata una propria linea di giudizio cosciente basata, oltre che sulla personale intelligenza, educazione ricevuta e capacità di comprendere appieno la realtà ed i gesti utili da fare, su un numero di esperienze positive e negative necessarie per la formazione di un proprio assetto critico, di una propria strada guida. Ma cosa ti deve dire il bimbetto o il ragazzo se sottoposto ad una pressione del genere? Non è che appagando ogni sua volontà momentanea, lo si rispetta o gli si insegna il rispetto. D’altronde il viaggio alla scoperta della propria sessualità, della propria identità si fonda su un percorso di vita, ponderato e delicato. Come dovrebbe sentirsi? Magari è proprio quello il momento su cui si sofferma a riflettere non su una condizione da sviluppare ma su una sorta di capriccio liberatorio. Magari è proprio quello il momento adatto per porsi interrogativi azzardati, tipo “Ma io in realtà, cioè, di che sesso sono, cioè, e di che sesso vorrei essere, anzi di che sesso, cioè, potrei essere?”, a cui risale un’unica, secca risposta: guardati nella mutanda, almeno per ora. Eppure, cari venditori di futuro, estirpatori di amor proprio, una cosa su tutte riporterà alla logica, costituirà la trottola che romperà il sogno riconducendoci alla realtà, ricordandoci che esiste, come in Inception per chi l’ha visto: il ciclo mestruale. Il ciclo mestruale salverà il mondo. Il tampax sarà il paladino delle differenze naturali ed incancellabili. Ma è una figurazione ideale, lo sappiamo benissimo che anche quello, per rientrare nel piano dell’abbonamento, può essere interrotto.
Abbiamo scherzato un po’, per carità…