Renzi, Marino & co: la banda PD, uno spettacolo trash
A Roma, almeno, cambia il significato di liberazione. 8 Ottobre.
Dopo estenuanti ore di trattative, nervi tesi e cori da stadio sotto le sue finestre, le teste di cuoio riescono a convincere Ignazio Marino ad uscire dal Campidoglio con le mani in alto, le dimissioni in tasca e l’attestato del Guinnes World Record di smentite internazionali. Con una tattica di sfondamento, le forze speciali del PD lo hanno costretto a dimettersi, facendo esplodere la ‘carica’. Eppure, fino all’ultimo, asserragliato con tecniche d’assalto, al grido “resistenza, resistenza, resistenza”, il subcomandante Marino, non voleva cedere. Era molto più dignitoso farsi prendere all’epoca dell’esplosione di Mafia Capitale o quando la città era sommersa da acqua e vergogna, piuttosto che per qualche scontrino.
Ma come in Rambo, questa volta il capo si è rotto e ne ha prontamente dato notizia al colonnello di zona: la sua fine è stata decisa. Pubblicamente, brutalmente, sfacciatamente. Giustamente! Renzi, che pure lo ha cavato fuori dagli impicci non poche volte tentando di difendere il feudo anche con l’avvicinamento di Causi, pensato come longa manus di Palazzo Chigi, questa volta ne ha decretato la fine per mano di Orfini, tenente della colonna romana del PD.
Con solo una cartucciera di penne intorno alla vita ed il basco con la stella rosa (trattasi di PD del resto) in testa, il sub sindaco Marino ha resistito stoicamente per ore, finché ha potuto, sorretto nell’animo dalle compagne Estella Marino ed Alessandra Cattoi, le due (ex) assessore(assessoresse o assesoratrici, ora non mi sovviene, dovrei consultare il gruppo di esperti per il linguaggio di genere) della sua giunta.
Marino a casa, Renzi in difficoltà, Orfini boia – nel senso di esecutore, ci mancherebbe -. Ed una sola, palpabile certezza: che infinita tristezza la banda PD(democristiano). Incredibile.
Da movimento per il rinnovamento della sinistra democratica, d’ispirazione socialista, ad una SpA con le quote degli italiani. Si è creato gli spazi di legge per governare a regime e non levarsi più di torno, dal paesello al Paesone, ha difficoltà a reperire i numeri per governare, talvolta; ha letteralmente interrotto il regolare processo democratico, sospendendolo a data da cestinarsi, cestinando, poi, il subcomandante Marino, abbandonandolo letteralmente al suo destino che, nonostante tutto, nonostante Roma sia tristemente involuta da Caput Mundi a Cloaca Maxima, nonostante Mafia Capitale, nonostante l’estremo degrado e tutto ciò che ha affossato, anche agli occhi del mondo, la Città Eterna, avrebbe voluto resistere, rimanere, attaccato con le unghie sanguinanti e i denti alle poltrone dell’Aula consigliare del Campidoglio.
Che uomini, quelli del PD! Che esempio e che classe. Quanta elegante cavalleria civile, che raccapricciante modello politico da seguire. Invischiati tra la restaurazione sul trono della Democrazia Cristiana, ne ripercuotono in ogni macroavvenimento, in ogni interscambio politico, le fattezze, le gesta, gli echi, anche meglio dei maestri democristiani. Una struttura totalitaria disegnata intorno ad un feudatario, ad uno one man show come Matteo Renzi ed al suo ego smisurato: “Nel corso dei mesi, man mano che aumentava il suo potere ma anche gli impegni governativi anche internazionali, Renzi s’è allontanato precocemente dal Pd e dalla tenuta del territorio che, in termini calcistici, è lo spogliatoio“, scriveva Marco Damilano de L’Espresso, “ha immaginato di poter coprire tutto con la sua leadership, con la sua velocità, con la potenza di fuoco mediatica, col cronoprogramma delle riforme. Invece si è dimenticato che, se non c’è partito, cultura politica, organizzazione, un cosa del genere non si regge. Che la gente, al voto regionale, si trova Raffaella Paita, la Moretti, De Luca, non lui. Per questi, lo storytelling non bastava. Non sarebbe stato credibile”
Marino come De Luca e l’Italia di Renzi come quella del PD: senza serietà, in crisi umana ed economica lacerante, tra casi di corruzione, opere incompiute, perdita della residua dignità it, riforme crono programmate, aumento della povertà, ‘pacifica invasione’ di ‘qualche povero migrante’, linguaggio di genere da garantire, sessismo, razzismo, omofobia e tenuta della politica poltrona ovunque. Caotica come la Roma ottocentesca.
Una città sfinita, stremata, proveniente da anni di mala gestione, fossero solo due, che oggi, però intravede la rinascita, lenta e ponderata. Una città crepata dall’umiliazione e dalla violenza eppure, mancano ancora venti giorni. Venti lentissimi e fatidici giorni in cui il subchirurgo statunitense potrebbe ripensarci, potrebbe fare marcia indietro annullando le sue dimissioni e restaurando, anche in questo caso, il trono. L’unico uomo politico ad essere fatto palesemente cazziare da un Papa. Neanche ai tempi di Bonifacio VIII.
Ancora venti giorni. Il 28 ottobre, potrebbe essere un giorno decisivo. Novantatre anni fa furono i fascisti a marciare su Roma, speriamo, novantatre anni dopo, non sia Marino a marcirci su, facendo ancora le veci della banda PDemocristiana.