Altri che retorica da Bella Ciao: 70 anni dopo i nuovi partigiani sono gli italiani che resistono al renzismo.
Vedere Ignazio Marino, degno rappresentante di questa scellerata classe politica, attaccato con i denti e le unghie, solo qualche giorno fa, al trono del consiglio comunale romano invocando più volte il verbo sacro alle sinistre, “resistere”, è uno dei simboli – assieme alla Boldrini che vuole sradicare obelischi – della sinistra in decadenza assieme al mito delle Resistenza, retoricamente intesa, ormai fuori luogo; è un vero insulto a chi resiste davvero, nel 2015. Resiste allo smog e al degrado, resiste alle tasse e alle rate del mutuo, resiste alle pressioni del direttore di banca; resiste ai figli che non hanno nulla da mettersi per andare a scuola ed ai soldi che ci sono, giusti giusti, per comprargli o i libri o i pantaloni nuovi.
Questi attuali companeros de noantri non sono neanche lontanamente la brutta copia dei compagni di una volta, nonostante sfruttino i loro effluvi vitali, il nome dei loro padri, a loro si ispirino e soprattutto da loro perpetrino la battaglia delle battaglie, l’idea delle idee, quella intorno a cui si plasma la lotta rossastra da sempre: la resistenza. E qui viene da ragionare di getto: forse è il caso di smettere di tenere viva quest’aurea di ipocrisia nei confronti della resistenza come pappone da far digerire a tutti per forza nel 2015, ovvero 70 anni dopo, con questa religione civile, con questo falso mito moderno. Partiamo dal dato: secondo un sondaggio Ixè per il programma Agorà su RaiTre – di Aprile, proprio durante le celebrazione del 70esimo ndr – il 58 per cento degli italiani non considera più attuali i valori della guerra di liberazione dal nazi-fascismo. Poco più di 1 italiano su 3 (36 per cento) si rivede ancora in quegli ideali. Inoltre il 51 per cento dice che non avrebbe partecipato alle celebrazioni. E visto che i sinistri nostrani devono per forza imporre il culto laico della resistenza, come unico collante nazionale riconosciuto e tollerato davvero, si chiedano quale sia – se esiste – il valore moderno della resistenza e a chi deve essere diretto.
I veri valori della resistenza.
La sinistra ama talmente i poveri che ogni volta che va al potere, li aumenta di numero. Il maestro Montanelli aveva percepito in anticipo quel puzzo di marciume e di ipocrisia politica, quel travestimento culturale. Viene da chiedersi, sotto il regno di Messer Renzi: dov’è la forza del nostro presente, dove? Nel guardare al futuro e nel riferirsi al passato rispolverando, come scendere in cantina e odorare a pieni polmoni il profumo acre e stantio della muffa, solo in questo? Una bella boccata di niente. Indossare un vestito già messo, demodè pretendendo di imporlo nuovamente alla moda. E il presente? Quel presente da leggere ed interpretare con urgenza? Allora nel 70esimo della liberazione si spreme il brufolo dell’ipocrisia sinistra. Continuamente risale dall’oltretomba il valore della resistenza. Si badi bene, non tanto della ‘resistenza’ in accezione storiografica, nel riferimento alla nomenclatura, dell’inquadramento del fenomeno paramilitare. Piuttosto in relazione ai valori ad essa connessi, appunto. E se questo Stato non è mai riuscito a trovare vera compattezza democratica capace di abbracciare destra e sinistra, e se questo benedetto Stato ha ideologizzato i suoi valori fondanti, il suo percorso comune, andando verso la postideologia – a suo uso, consumo, a suo comodo – ma rimanendo ancorato all’anacronismo, e se questo benedetto Stato riconosce l’unico vero sentimento di coesione, la propria coscienza di popolo ed i propri valori nazionali fondanti nell’antifascismo e nella resistenza, e nei valori vecchi, inattuali, inadatti a questi connessi, allora valutiamo la modernità del significato di resistenza, cari eredi dei combattenti partigiani. Valutiamola, forza.
Da Marino che la usa borghesemente, frettolosamente, ipocritamente, a Laura Boldrini, fino ad uno stuolo di vecchietti in ogni sezione dell’ANPI sul territorio nazionale, la resistenza, a sentirli parlare, è un valore che deve incarnare modernità, sempre attuale, sempre sul pezzo, giammai da dimenticare. Un evento ad eterna memoria, un valore comune che, ancora nel 2015 tramite l’accezione antifascista della resistenza, monta una dialettica di scontro dicotomica, vecchia e trapassata quale quella destra-sinistra, che, ancora oggi, inquadra e invoca a gran voce fasci ed antifasci, infilandoli ovunque.
Allora cara sinistra che ama talmente tanto i poveri e che ora che è al Governo li aumenta di numero, il valore moderno della resistenza dov’è, l’accezione più corretta per un uso contemporaneo qual è? Quella di aver appeso per le gambe Pavolini, quella di aver insegnato al giovanotto a ribellarsi a chi lo mette con le spalle al muro o quella che parla dei nostri ragazzi, di tutti quei giovani – e meno giovani – che si stanno strozzando nella rossastra pretesa del progresso, nella pretesa d’Europa, che resistono, giustappunto, ogni giorno alle bordate folli del folle spadroneggiare di questa sinistra di governo, incapace di alzare la testa fuori dai confini nazionali, regnante proprio nei 70 anni della storica resistenza italiana? La ‘storica e stoica’ resistenza italiana, quella simbolica, i cui valori sono ‘da tramandare e da ammodernare’ – secondo i sinistri nostrani -, i cui dettami prevalgono in democrazia seppure impediscano la vera coesione nazionale, di tutte le anime d’Italia, castrando il processo di completa e reale democratizzazione? Quella resistenza italiana che rappresenta l’unico vero valore nazionale, da Nord a Sud, da ricordare, celebrare, permesso e permissibile? Quella che non è un trionfo comune ma la vittoria di libertà di una parte di italianità sull’altra? Quella che non è di tutti? Quella che “non è pace, ma guerra. E pure civile. Che è il massimo dell’inciviltà”, come ricorda Francesco Maria Del Vigo?
Eh già, proprio vero. Non come la lotta per la libertà del nostro popolo dalle mafie, come quella intentata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una vittoria comune, di popolo, in democrazia. Di tutti.
Altro che modernità…
Cos’è resistenza oggi, signori miei: l’immagine sbiadita e tremenda del corpo della Petacci penzolante ed esanime o i ragazzi e le ragazze italiane abbandonati al loro destino, costretti a veder le loro famiglie affogare tra un finanziamento e l’altro, costantemente in tensione, incapace di sostenerli, di permettergli di avviare il naturale processo della vita, di sostenere il loro ingresso nel mondo del lavoro, nel momento più delicato della loro esistenza? Di tutti quei giovani che non mollano e si fanno il curriculum gratis, col rischio di farsi fregare il portfolio tra sirene di nichilismo ed alienazione, di azzeramento dell’entusiasmo e della partecipazione sociale. Ingegneri dog sitter, con il Master da commessi in prova, laureati al call center, troppi a casa, distrutti, umiliati. E il tempo fugge nell’unica vita disponibile. Di tutti quei meno giovani…
Chi resiste, 70 anni dopo?
A sentire Laura Boldrini, i migranti sono i nuovi partigiani: “Molti giovani in Paesi dove non c’è la democrazia a volte osano sperare di vivere in pace e in sicurezza e prendono ogni mezzo per arrivare in un posto sicuro, avrebbero preferito stare a casa loro, ma non hanno questo privilegio: molti di loro oggi sono partigiani nel loro Paese”.
Una contraddizione in termini infinita. E chi rimane? A chi rimane per la propria terra?
A loro forse dovrebbe andare il vero significato, ammesso che sia ancora necessario evocarne uno, della resistenza.
E di quei giovani italiani infiacchiti sul divano a piangere miseria, a lamentarsi? Altro che resistenza, quello è un altro fenomeno: tradimento, anche quello legato agli italiani ed alla storia della guerra.