De Carolis, il campione (del mondo) gentiluomo
Nello sport il concetto di semplicità è quasi contraddittorio. Nulla è semplice, tutto lo sembra. Da fuori, quando assisti allo sforzo supremo, ai muscoli che si comprimono come nessun’ altra macchina figlia della tecnica, alle smorfie sul volto, tutto sembra facile. Da fuori, sul divano. Ma la realtà è tutt’altra, e questa non è una novità. Da fuori, sul divano, vincere un titolo del mondo di pugilato, mettersi la cintura in vita, lontano da casa, in Germania, dopo averne perso ingiustamente uno contro un giovane e determinatissimo Vincent Feigenbutz, con un pubblico ostico e schizofrenico, pare facile. E lo è, per un campione. Ma la realtà è tutt’altra. Vincere un mondiale può essere semplice, molto meno non perdere la testa, non montarsela solo un attimo, non schiaffarsi una tigre dentata d’inchiostro sul pettorale a tutti i costi, non gloriarsi di un passato malandrino. Questo non è affatto semplice; crescere due figli, rinnovare lo stesso amore ad una musa, ad una compagna condottiera, agguerrita, sempre la stessa, credere in un progetto, aprire una palestra e battezzarla al motto di Credendo Vides, per dare continuità, per trasmettere l’essenza spirituale, ancor prima che fisica, del pugilato, per essere testimone.
Esserci sempre, essere sempre lo stesso, umile, timido, mantenersi puro, non sentire il distacco, non dare lo stacco, mai. Gentile. Non ostentare. Ore sul ring appresso al sogno di un ragazzo qualunque che si infila i guanti da sacco per cominciare, che non te lo dice, ma vuole diventare come te, appresso ad una vita normale, anche a chi, con i precetti e i movimenti della sacra e nobile arte, vuole buttare via il rotolone natalizio e basta, indegnamente; poi di corsa in palestra a sessanta chilometri, ad allenarti che il match dei match si avvicina. Ecco, tutto questo, ogni maledetto giorno, ripresa dopo ripresa giù in provincia, a Monterosi, nel viterbese, questo è incredibilmente difficile.
Giovanni De Carolis lo troverai sempre lì, ad amare la boxe, ad amare la vita e sua moglie Veronica, una tipa coraggiosa, marmorea e sempre sorridente. Lo troverai lontano dai bagordi del pugile che si crede un dio, nella sua alcova; un’azienda a conduzione familiare più che un tempio dell’estetica, la loro, uno spicchio di italianità rimasto intatto e protetto dal tumulto, dal rincoglionimento progressivo che ammorba questi tempi, in cui anche la cosa più semplice pare dover essere stravolta e resa complessa, per forza. Lì si fa la boxe, quella vera, e non si fabbrica rabbia, ma stile e tecnica.
La ditta De Carolis/Iovino accoglie i ragazzi in palestra mai come clienti. Studenti, amici. La ditta De Carolis/Iovino, ieri sera, ha portato a casa la cinta di Campione del Mondo Wba dei supermedi. Tutto cambia perchè nulla cambi. La dentro, Giovanni è il re, re dei suoi ragazzi. Volutamente distante da quel bagno di dollari in cui vedrai crogiolarsi un altro tipetto non male del pugilato mondiale, Floyd Mayweather Junior, dai diamanti grandi come la dignità di un imbroglione che ha dimenticato padri e insegnamenti, radici e spontaneità. Giovanni De Carolis non lo senti al centro delle cronache, ma solo in quello del ring a deformare il paradenti dallo sforzo. Diplomato, una carriera universitaria iniziata, fa la boxe perché “gli piace”.
Una vita normale, oggi, è un esempio, è il ritorno ad una condizione umana accettabile, prossima, riconoscibile. Perché, forse, la vera avanguardia risiede nel ritorno alle origini capaci di sciogliere la complessità. Ma è anche emblema dello sport nazionale, dell’umiltà e del sacrificio che paga, riferimento per tanti ragazzi, un gancio in bocca all’annichilimento, alla banalità, alla frigidità degli stereotipi, soprattutto sportivi. Ecco, la testimonianza concreta che si frappone ad un mondo che corre senza fiato ed in lacrime verso la convenienza, verso il denaro, verso la materialità. Allora rimbombano dentro le parole di Ortega y Gasset: “La forma superiore dell’esistenza umana è proprio lo sport […]al lavoro si contrappone un altro tipo di sforzo che non nasce da un’imposizione, ma da un impulso veramente libero e generoso della potenza vitale: lo sport […] Si tratta di uno sforzo lussuoso, che si dà a mani piene senza speranza di ricompensa, come il traboccare di un’intima energia. Perciò la qualità dello sforzo sportivo è sempre egregia, squisita”. Pensando alle immagini di ieri sera.
De Carolis il gentiluomo del ring, come lo ha definito Repubblica, non lo cambia nulla. Essere un campione, talvolta, è facile. Mantenersi un gentiluomo, oggigiorno, integro, puro, soprattutto quando sei sul tetto del mondo, per Ko prima del limite, tra le urla di gioia di Alessandro Duran, è il vero match, è una vittoria di pochi.
Poi viene la cronaca dell’incontro…
Giovanni ha vinto e con lui, ha vinto l’Italia e la dignità.