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La realtà non esiste più. Ormai, al suo posto, vi è un pesto di narrazione, cortocircuitismo e nonsense. Sarebbe come a dire che chi è contro lo Ius Soli è un triangolo bislacco da mare.

Ma come caspita scrive bene Massimo Recalcati. Il Repubblichin…pardon, Repubblicano, – con le parole e le definizioni non ci si capisce più nulla ormai, alla faccia di Nanni Moretti -, nel senso di intellettual-militante di Repubblica, il giornale del futuro, nell’edizione di ieri del quotidiano ci delizia di barocco e buon senso, in una soluzione narrativa che intercorre tra San Francesco d’Assisi e Filippo, l’addetto stampa colto di un Centro Sociale.

Gorgheggia, Recalcati, noto psicoanalista, laureatosi sul filo del confronto tra Sartre e Freud, e saggista. Nonché autore a Repubblica. Si cimenta nel cemento: “La paura dello straniero incentiva l’edificazione di una versione dell’identità fobica, refrattaria allo scambio, iper-difensiva. I confini diventano muraglie, cessano di essere porosi, acquistano la consistenza del cemento armato”, scrive in un pezzo che tratta temi ormai all’ordine del giorno: lo Ius Soli ti preoccupa? In quanto partita Iva, iperprecario, in una damnatio di uomini piccoli e assenti che non ti rispondono alla mail, ti obbligano alla stasi, e ti pagano dopo 3 mesi dalla fattura, un po’ ti rode del fatto che il Governo in trenta minuti abbia predisposto un piano per alloggiare e ospitare 75mila migranti? Invalido all’80% vieni sfrattato da casa? Ti chiedi che fine facciano gli italiani, e non per colpa degli stranieri che arrivano, ma dei Governi che negli ultimi anni si succedono? Ecco, se ti fai tutte queste domande sei (non necessariamente nell’ordine): un imbecille, un pagliaccio, un incivile, un razzista, un fascista, un nazista, un processato a Norimberga con le SS, un pazzo, un cazzo, un razzo, socio di Satana, e da oggi, rischi anche l’autismo, di rimbalzo eh!, sfiorato, sfiorito, cervellotico, mentale, sociale, culturale, ma lo rischi: “La resistenza antropologica e psicologica, oltre che politica ed elettoralistica, allo Ius soli rende manifesta una tendenza sempre presente nella realtà umana: difendere il proprio status narcisistico, sociale e identitario dal rischio perturbante della contaminazione. È quella inclinazione autistica della vita umana che aveva condotto Freud a paragonare la sua condizione primordiale di esistenza a un guscio chiuso su se stesso e ostile per principio al mondo esterno, colpevole di essere “straniero e apportatore di stimoli”.

Il pezzo è di Massimo Recalcati, l’avevamo già detto, ma è evidente la manifestazione del miglior L.F. Céline: “chi è contro allo Ius Soli, ha il pène piccolo e soffre di Alzheimer”.

Di questo infelice volo pindarico s’è reso conto anche Giulio Meotti, firma del Foglio, che così commenta su Facebook: “Siete contrari allo ius soli? Il piccolo caporale del condizionamento psicologico, Massimo Recalcati, su Repubblica spiega che soffrite di “inclinazione autistica della vita umana”. Siete avvertiti. Razzisti e pure autistici”

Insomma il solito Paese reale contro quello delle parole, quello del mentalismo, contro quello della deficienza al mercato del paese. Parole in cui, morettianamente, quelli come Recalcati sono maestri. Parole che rappresentano un continuo distacco dalla realtà, esplicato in una culturalizzazione e relativa relativizzazione, di ogni processo morale individuale e collettivo, che ha nutrito, seppur giustamente a differenza ideale, l’Occidente finora. Di ogni riferimento che coniughi la propria intimità civile, con un’accettabile e condivisa razionalità; che si incanala in uno scivolo logorroico, che è esercizio di stile del regime, ormai ridotto a vocabolario della correttezza, il quale, dell’aggressione verbale, fa introduzione necessaria. Assodato che chi è contro lo Ius Soli, contro i volteggi deliranti di certe posizioni antinazionali, come quella legge che potrebbe farti valere 100 frustate sotto la statua di Giordano Bruno in Campo de’Fiori, se hai comprato un accendino con la faccia di Mussolini. E tante altre (poco) simpatiche iniziative governative, impolverate come la cristalliera a casa di nonna con la foto di nonno soldato e la bomboniera della Cresima di Giulia.

Rassicuriamo Recalcati col Vangelo – ve lo ricordate il Vangelo? Bei tempi…” -: “[…] bussate, e vi sarà aperto”, Matteo 7,7-14. E fin qui, che Papa Bergoglio voglia o meno, è indirizzata la giusta dose di lucida fraternità. Certo riferimento nel caos. Contrariamente, non vi è scritto: bussate, e se siamo sotto la doccia e non vi sentiamo, sfondate ogni porta ed entrate.

LA REALTÀ NON ESISTE

Quell’uomo ne ha uccisi venti, in un solo pomeriggio, gridando forte il nome del suo Dio. Dichiarazione di guerra. Egli voleva ammazzare con un preciso scopo, in un preciso modo. Li ha uccisi tutti. Tranne tre. Il caso lascia sempre dei sopravvissuti, perché aiutino a capire subito e a ricordare nel tempo. Essi hanno disperatamente cercato di dire al mondo che quell’uomo ha usato la scimitarra contro di loro, per tagliarli a pezzi. Quell’uomo gliel’ha detto chiaro: vi ammazzo in nome della mia terra, del mio Dio, della mia Fede, infedeli. Siete il mio contro, siete il mio cancro. Io sono contro di voi. Io sono.

Tre soli sopravvissuti, ad urlare pazzamente ai giornali, agli amici, agli scettici, che quell’assassino aveva un nome, un cognome, un motivo. Che era tutto chiaro, evidente. Ma il mondo intorno a quei poveri tre non capirà. Non accetterà, in una lunga notte di menzogna. Quello non era un assassino, ma altro. Una fantasia, una paura, un’esasperazione, la rappresentazione di una nostra ossessione. Una scudo per i razzisti. Fare finta di niente, reprimere la rabbia, negare in nome di altri scopi superiori, magari di Stato, che richiedono di farsi meno paranoie, di essere sempre meno uomini e più spettatori.

Confondere i significati, i limiti della realtà. Bisogna fare di più. Portare verso la derealizzazione, in psichiatria, ovvero ad un «appannamento del senso della realtà» (N. Ghezzani) che passi per la pressione di chi gestisce il potere politico, della comunicazione, dell’economia, verso gli uomini, generando nuovi modelli comuni e distorcendo i significati che conducono ad una “diversa” visione delle cose. Un atto di perversione chirurgico che vada a smontare l’uomo partendo da esso, che lo metta in discussione fin dall’intimità cognitiva e culturale: non facendolo più fidare di se stesso, della propria percezione del reale, relativizzando la semantica, i significati, ogni cosa, persino ciò che gli occhi vedono. Per la norma un uomo che lima se stesso fino ad assomigliare ad un essere neutro, come il caso di. Vinny Ohh, un ragazzo statunitense di 22 anni che ha speso oltre 50mila euro per trasformarsi in un alieno senza sesso, è un pazzo; per l’istituzione ideologica odierna è un uomo che sta esprimendo, invece, la propria libertà sessuale in consapevolezza.

Per capire quando inizia la rovina, bisogna rendersi conto di quel preciso momento in cui si smette di dare il giusto nome alle cose, di chiamarle col loro nome, specie quando è la legge non scritta dell’imposizione a chiedere di farlo, prima ancora di quella ufficiale che nel frattempo si sta organizzando. E così, quando si dissoceranno i significati originali, dai nomi, si smetterà di chiamare madre, una madre, Dio, l’Altissimo, gli uomini, uomini, il dolore, dolore, la guerra, guerra, un terrorista, terrorista, allora l’atto di autoannullamento sarà cominciato, così come il perverso conto alla rovescia che porta allo smontaggio graduale degli uomini stessi, che passa per un’invasione civile, politica ed intima, soprattutto, laddove risiede, in ognuno, ciò che permette di reagire alla rovina del mondo; che contiene gli anticorpi alla distruzione.

Quando a uno stupidino non si potrà più dire stronzo (G.Funari), perché facendolo si finirà in galera, allora forse si avrà idea di quanto la libertà che si credeva raggiunta è in realtà la ghigliottina che ci taglierà la testa, e che noi abbiamo contribuito a costruire non andandoci a riprendere il tempo e lo spazio come cittadini, come persone, continuando a seguire le volontà di chi ci vuole massa molle, di chi ci ha detto che voteremo alle Elezioni, ma non ora che serve. Di chi ha annullato la Bellezza nel profitto.

Innaturali, prodotti del politicamente corretto, stiamo perdendo la battaglia semantica, la quale, per sua natura, non è un esercizio di stile dei migliori a scuola, ma lo svilimento infame dei significati, e quindi dei concetti, che porta ad una pericolosissima relatività da applicare a qualsiasi cosa si muova. Ridicola. Quanto ci si può sentire fuori luogo nel dire “avvocatA” o “presidentA”? Boldrinianamente parlando…

La grande mistificazione. Un’esasperante immigrazione? Una pacifica occasione di crescita e di tolleranza. Un contratto a tempo “determinatissimo”? La giusta occasione per fare esperienza. Il terrorismo islamico? Fratelli che sbagliano, ammesso che siano musulmani. Una crisi economica infinita? Solo un’occasione per dimostrare di non essere bamboccioni. Una giustizia inesistente? La magistratura sa cos’è meglio. Un mercato del lavoro che ci rende solo numeri e mezzi di produzione? Il progresso deve avanzare. Non sarà la pigrizia dei lavoratori a fermarlo, la dignità è in quello che riesci a consumare e a produrre. Il sesso nelle mutande? Un pène o una vagina non possono definire chi sei. Salvare gli immigrati dalle acque e dimenticare le giovani coppie nazionali? Serve qualcuno che ripopoli questa terra senza figli. I confini, la cittadinanza? Questione di burocrazia; per favore, cercate di uscire il prima possibile dal Risorgimento che avete in testa.
E la lista potrebbe continuare per molto.

Prima ancora che ingegneri, architetti, studenti, operai, lettori, eruditi, gelatai, provate a dire “non è giusto!”. A provare schifo, e poi, a farvi dare retta, studiando per una vita, combattendo al limite dell’emarginazione economica e sociale. Provate a non impazzire nell’illogicità, nella solitudine di voi stessi, etichettati come vecchi arnesi, provate a non impazzire nell’ira.

Un italiano e un olandese per il mondo del domani, non dovranno più essere diversi. Andranno limate le differenze, le sfumature, il raccolto di secoli di coltivazione umana, di sangue degli eroi che ha fecondato i campi, di danze e spade diverse. Di un modo diverso di chiamare Dio, di navigare il mare, di colorare le stoffe e creare la giustizia. Di vivere la violenza, il sesso, il pudore. Passaggi vitali frutto delle necessità, delle priorità, dei bisogni, come anche della concretizzazione del pensiero che, man, mano, andava affinandosi. Non si è casualmente italiani o olandesi. Tasselli di un mosaico che uniti formano il grande disegno dell’identità. E così, i singoli reclamano, il gruppo amplifica, i gruppi formano la comunità – quella “comunanza” latina che indica più persone che vivono in comune, entro certe leggi e per un fine determinato -, la comunità forma la Nazione che è l’anima complessiva di un popolo, che si muove a partire da sangue e radici comuni. Le nazioni cavalcano la storia. Ma le nazioni vengono dai singoli, dalla semplicità dei singoli, senza i quali non esiste Nazione, comunità, aggregazione.

Ebbene quando si smetterà di dare il giusto nome alle cose, alle figure, agli attori di questo tempo, agli accadimenti, e non sarà per devianza del momento, ma consuetudine capace di inquinare la realtà, creando uno stato di fantascientifica disgrazia per tutti, confondendo la missione, il bene e il male, l’amico e il nemico, gli uomini dai replicanti, allora si sarà vicini alla disfatta.

E la fine inizia sempre dagli uomini. E gli uomini, oggi, sono surgelati affinché possano essere gustati con calma, come una splendida Orata ad un pranzo di gala. In attesa del voto, della rivoluzione, delle riforme, di qualcosa che cambi, di qualcuno che se ne accorga, di un po’ di giustizia in tribunale, di capire a che ora e come difendersi dal ladro che entra in casa, del posto di lavoro, della provincia che diventa universo, di pagare le tasse che aumentano, di uscire dalla povertà, di capire quando ci si potrà vendicare di chi tratta male i propri connazionali, di un nuovo Smartphone che tra le tante funzioni innovative, telefona anche. Rimasti fermi, gli uomini, come li avevano freddati, come in una grande Pompei. Comprati, corrotti, accontentati, addomesticati. Chi con le braccia alzate, in segno di resa, chi seduto sul divano con le gambe accavallate a seguire in tv il grande sbarco, chi mentre stava battendo con le dita sulla tastiera di un pc, per cantarla alla Signoria.

Ibernati, congelati. Cristallizzati fino al prossimo utilizzo. Alla chiamata successiva. Che sia un referendum o un’elezione politica, che sia uno sciocco pianto di commiserazione di massa. Sia quando sia, ovvero nel momento in cui il potere lo chiama a sé, come l’anello di Frodo nel lungo viaggio per distruggere il male, senza, però, cadere nelle sue trame. Storditi, gli uomini si sono fatti surgelare dalla politica che gioca sulle paure, sulle sottili minacce, dal buonismo di Stato, dal denaro, dalla tecnologia, dalle luci al neon colorate, il migliore dei possibili ma che in realtà assomiglia sempre più ad un bar di provincia. Esso non deve reagire, non deve scandalizzarsi, non deve proteggersi; deve accettare e fidarsi, aprioristicamente.

Chiude lentamente l’antico artigianato degli uomini, per fare spazio ad un enorme centro commerciale.

Nel futuro non ci sarà spazio per i “legami di dignità”: quelli che uniscono l’uomo alla terra, ai ricordi, che lo portano a dedicarsi la vita e il tempo; che connettono gli individui ai loro padri, al significato della loro storia, nella più istintiva ricerca di una casa, di una storia, di un volto, di un motivo. Servirà un uomo standard, performante. Un uomo comune che avrà allontanato da sé la capacità di generare coscienza. Abbiamo colto la disgrazia di essere tutti uguali, svuotati, tolleranti, buonissimi. Ma come scongelarci tutti? Ritornando al sole, a noi stessi, ancor prima che alle urne, alle accademie, nelle strade. Ponendoci come frazione del tutto. In operazioni che dobbiamo compiere noi singoli, nella lunghezza delle nostre giornate, prima di incontrarci ancora in una nuova idea di Stato, in una nuova dottrina politica e filosofica. Viaggiando verso la sovra-umanità, uomini e sovrani.

(Emanuele Ricucci, Torniamo uomini, I capitolo, 2017, ed. Il Giornale)

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