Bene, ma non benissimo. Scagliamo la censura all’arte, nel mondo del porno. Così trasgressivo al massimo da fare da solo, con un vibratore. Un mondo talmente trasgressivo che per fare la rivoluzione chiederebbe il permesso ai Carabinieri, parafrasando Leo Longanesi. Ebbene, la Terese sognante, Thérèse dreaming, di Balthus, inciterebbe alla pedofilia (un’innocente adolescente, sognatrice, effimera. Ferma, mentre si muove dentro. Con le gambe aperte, a far vedere le mutandine, candide, bianche. Come inconfutabile segno di assenza dal reale, in quel momento), mentre nella nostra quotidianità basta andare su Telegram, rovistare in un paio di chat, iscriversi nel gruppo di qualche vecchio porco, ed avere accesso a centinaia e centinaia di immagini e video di minorenni nude, inconsapevolmente consapevoli, che fanno sesso, che si dilettano, o che semplicemente si mostrano.
Il caso Balthus è solo uno degli ultimi. Sono state raccolte già 8 mila firme per rimuovere «Thérèse dreaming» (FOTO) dal Metropolitan Museum di New York. La petizione è stata lanciata sul sito thepetitionsite.com dalla giovane Mia Merrill sulla scia del movimento #MeToo che denuncia su Twitter le molestie subite dalle donne in tutti i settori (Corsera)
Lo senti? Lo senti in bocca quel lieve e pungente sapore di acido, forte? Preannuncio di voltastomaco. Conato, vomito, da contraddizione. Una costante contraddizione di questo nostro tempo.
Sono mesi che si censurano opere d’arte. Sui social network, nella vita reale, che è quella cosa che si esplica nell’assenza della virtualità, dove già è avvenuto il dibattito, dove i porci sono già arrivati all’orgasmo, i censori alla censura, i candidi al massacro, gli haters alla rovina, tanti hanno avuto sette minuti di gloria, e tutti hanno fatto la rivoluzione, qualificandosi, per altro, ai Mondiali del 2018. E dove, poi, trovi anche invettive come questa.
Sono mesi che si censurano opere d’arte, inutile farne l’ennesimo elenco uscito più e più volte sui giornali. Quel quadro ricorda la pedofilia, quel pene, un pene. Quella vagina, una vagina. Ignorando ogni ragionamento sopra le cose, ogni archetipo, ogni simbolo e significato. Il motivo per cui quell’opera rientra nell’irrinunciabile classicità che ci rappresenta tutti. Quell’opera istiga al sesso coniugale. Dio mio, visto mai che ci toccherà anche fare il sesso coniugale di questi tempi – mentre il web sopperisce e di mano ferisce, per lui, con il boom di manovelle, le più tristi di sempre, certificato dall’accesso in incremento mondiale sui siti pornografici, e per lei, proprio mentre impazza mysecretecase.com, l’e-commerce di sex toys apposta per le donne -, e magari per procreare, per mettere al mondo un altro italiano. Per carità. Costa troppo, sono una partita Iva, e alle mie ferie all’estero non posso proprio rinunciare. Che dopo mi tocca fare le lampade tutto luglio e farmi i selfie fingendo Miami.
Il problema è nella mano, ecco. E lì sta la differenza. Le dita, il tocco. Lo sfioro. Sta mano po’ esse piuma, o po’ esse fero, diceva Mario Brega. Er principe (signò, ndr).
Accarezzare, dare forma che diventa significato, non solo lo schermo del tablet.
Sta mano po’ esse pornotrastullo, o po’ esse opera d’arte. Oggi è stata pornotrastullo. E pure domani, ma non si può dire più di tanto. Vuoi mettere la vagina pelosa che origina il mondo e che lo ricorda brutalmente, come quella sulla tela di Courbet, con tutte le categorie da scegliere su Youporn?
Oggi è stata pornotrastullo. E tale rimane, quella manaccia atrofizzata che rende sempre più l’arte un qualcosa di staccato dalla realtà, un luogo ameno, da raggiungere con un’altra metropolitana; un passatempo domenicale per famiglie, anziché la lettura del tempo, l’esaltazione della Bellezza, nutrimento per l’anima, ragionamento sopra le cose.
Perché con le mani sbucci le cipolle, con le mani se vuoi puoi dirmi di sì; ma puoi anche generare il mondo, accogliere un figlio quando sta per venire alla luce che si vede la testa, puoi rovinare un Paese, votando, o puoi salvare tuo fratello che è scivolato mentre facevate i funghi ed è aggrappato ad una grossa radice di quercia, che sporge sul precipizio. Puoi togliere la vita, puoi scrivere delle parole che cambieranno il mondo, o della musica. Puoi puntare il dito contro i fascisti, sempre, tanto ormai è moda. Con le mani ti puoi masturbare o fare arte. Sprecare un’eredità, o farla nascere. Qui sta il nodo.
Il problema non è tanto la censura, ma l’utilità e la considerazione che rimane dell’arte. La censura è negazione. Niente di più. Ci sarà sempre qualcuno che rosicherà di qualcosa. E la negazione di noi stessi, oggigiorno, è la moda del momento. Allora, forse, vale la pena andare a scandagliare i motivi.
E tutto si collega. Generare un’eredità, è una rogna incredibile per il mondo moderno. In qualunque modo essa si manifesti, in quanto “polizza di assicurazione morale”, seguendo l’input di Iosif Brodskij. Perché crea un rito, crea generazione collegata. Discendenza e motivazione. Un senso originario, una giustificazione agli occhi della storia, insomma, un motivo per esistere, in quanto idea, in quanto popolo. Continuare, persistere. Come un sapore, come antica connesione. È qualcosa di poco adatto alle logiche di ripopolamento odierne, di nomadismo lavorativo, di precarietà e sismicità continua delle anime, delle persone. Eredità è fare un figlio, e infatti i dati sulla natalità dimostrano numeri drammatici sulle nuove nascite, anno per anno. Laddove si sta palesemente preferendo, al sostegno alle famiglie, il sostegno a chi migra. La torta è una e va divisa. E chi migra, rispetto a chi fattivamente ancora non c’è, può garantire immediato riempimento in assenza, come prima cosa, come forza lavoro, come attore sociale. Sostituendo, surrogando; eredità è trasmissione di un’idea, eredità è creare arte. Di certo non godere della propria masturbazione. Sia fisica, che mentale. È il godimento dell’eredità che genera frutti, non viceversa.
Ecco allora che con le mani si crea sempre meno eredità, e più masturbazione, nell’era del porno facile che si scandalizza per le mutandine bianche di Balthus, o per la vagina pelosa e generatrice di Courbet, ma contemporaneamente non si incazza, anzi s’arrapa, con le idiote incursione nude di Milo Moiré, artista belga, che gira nuda per strada, si fa fotografare nuda, espone nuda, fa arte nuda, è nuda, nuda, e, sempre nuda, come forma di avanguardia concettuale, in voga oggi giorno, espelle uova di colore (ovvero uova riempite di vernice) dalla vagina, davanti ad un pubblico folto. Le uova cadono, gocciando assieme ai suoi umori, si rompono, lei forse ha goduto, il colore schizza come Pollock su una bianca tela sottostante, e tutti applaudono incantati.
È l’unico schizzo che possiate avere oggi giorno. Quello delle sciocche molestate per fare carriera, che poi piangono quando sono costrette a cercarsi un lavoro vero, quello di Moiré, quello delle signore, delle signorine e dei signori di fronte ad un sito porno; oppure, ma sempre meno, sempre più elitari, sempre meno frequentati di personaggi come Roberto Ferri, il nuovo Caravaggio (?), Giovanni Gasparro, Sergio Padovani, Marco Mazzoni, Luca Crivello, Alfio Giurato e tanti altri. Sconosciuti ai più, sono i degni Eccellenti pittori, di memoria vasariana, raccolti e promossi anche da Camillo Langone nel filantropico lavoro che porta questo nome e sottotitolato “Gli artisti italiani di oggi da conoscere, ammirare, collezionare”, uscito in prima edizione nel 2013.
E dunque nei confini della contemporaneità, ogni capriccio passa nel tribunale democratico, viene allevato, e diventa diritto di testimonianza, obbligo di diritto. Come quello di censurare opere che sono storia e virtù di questo mondo. Che nascono per un ragionamento sul tempo, espressione di Bellezza, fotografia del sublime, anziché mostruosità concettuali che ragionano sullo spazio, qualsiasi cosa (non)contenga, non vengono ragionate dall’artista che fa uscire un flusso, e vengono pensate e pesate dal fruitore, dallo spettatore che deve raccogliere per forza quel flusso. Un matrimoney tra arte e contemporaneità che si incontra in una piccola, semplice frase che racchiude il macigno della stupidità: oggi vi arte che vale perché costa, e non che costa perché vale.
E allora noi dovremmo veder censurati Balthus, Schiele, Caravaggio, Rodin, Courbet, per abbracciare a piene mani il dettato radical chic-progressista dei brunch senza sesso, pardon, senza senso, delle uova di colore che escono dalla vagina di Moiré, dei cessi d’oro di Cattelan (17 milioni di dollari), del Cristo immerso nel piscio di Serrano, di 80mila chili di merda umana stoccata, di Mike Bouchet, – tutte opere vere, valutate milioni, esposte come reliquie e che fanno strabuzzare gli occhi ai moderni: Adooooro! -? Di musei che assumono la funzione di nuove cattedrali e di artisti che assurgono a livello di laica divinità?
Tutto parte dalle mani. Neutralizzata l’anima, nell’assenza spinta di Dio (che parte dalle basi e che cattura anche l’istituzione ecclesiastica più alta, nella sconfessione, nella perdita del Sacro. A partire dai confini tra arte, sacralità e modernità, cosa che non tutti sanno, su come costruire le nuove Chiese, parola della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, che ha ovviamente aggiornato il vademecum, e tra le righe, fornisce la descrizione di qualcosa che si integra nel paesaggio, anziché riportare elementi di fedeltà al sacro, di creare un loco a se stante, divinizzato, seppur testimonianza dei moderni. Chiese che diventano sempre più luoghi per attività sociali, anziché dimensione a metà tra il mondo tangibile e quello divino, asettica, eterna, indistinguibile. Dagli addobbi floreali, all’altare sempre meno pomposo e quasi visibile (l’altare. In una chiesa…). Così come per il tabernacolo e i servizi igienici (sì, i servizi igienici). A tal proposito consiglio la lettura di Costruito da Dio, Sperling & Kupfer, ultimo lavoro di Angelo Crespi, dove si capisce definitivamente perché le chiese sono le nuove brutture inutili, e i musei sono le nuove cattedrali), neutralizzata le idee, le loro variegature, sfumature visionarie, non rimane che ripartire dalle mani, il più semplice oggetto che fonde anima e corpo, risultato finale della tangibilità, così tanto godereccia, così tanto obiettivo finale degli uomini di questo tempo, da aver sostituito la felicità ed ogni processo dell’anima.
Le mani che pregano, le mani che fanno arte, le mani che votano. Le mani che menano e che bloccano.