Altro che Raimo: la destra pensa, scrive, vende e la sinistra, assente dal presente, rischia di perdere il primato culturale. Alla conquista dell’egemonia…
Il gioco degli spazi. In questo cervellotico mondo strapieno e bulimico, la conquista dello spazio è fondamentale. Se risulta inutile, infatti, perdere tempo nella dialettica A contro B, oggi totalmente in voga (l’ “antifascismo” provoca, la sua alternativa risponde, in un botta e risposta eterno che può durare per settimane sui social, sui giornali, sui blog, accentrando completamente il dibattito), se è vero onanismo dare troppo spazio a Raimo, e alle sue giravolte, il segnale nuovo è che tutto questo spazio ha concesso una prateria agli editori condannati a morte dalla partigianieria. Altaforte in primis. Ma soprattutto ha svelato le carte di un intimo terrore, in primis, palesato, in secundis, come profondo rodimento, manifestato ufficialmente, infine, come battaglia di giustizia sociale: no ai fascisti in qualsiasi cosa esista.
Ma procedamus in pace, con ordine.
Non mi preoccupa la battaglia sul Salone del libro. Non mi appassionano le battaglie di Lepanto in mezzo bicchiere d’acqua, o “vivere tempeste grandi quanto una chicchera da caffè”, (dalla lettera di Mughini sui fatti di Torino, a Dagospia). Non mi preoccupa la schermaglia, ma le conseguenze di un agire più grande. Ormai, in maniera incomprensibile, non ci si spiega perché non si riesca pubblicamente a cogliere, o ad ammettere, quella leggerissima paura, quel sottile terrore delle sinistre pensanti, di perdere il primato sulla generazione della cultura di massa. Ed è proprio qui il problema dei problemi. La generazione della cultura di massa, il suo controllo, la sua gestione, la creazione del sentore comune, anche se distorto, anche se spaventosamente rigonfio di fantasie e inesattezze, superficialità, pregiudizi. Creazione del sentore comune, in un minuzioso lavoro artigianale e sociologico, che oggi è detenuto dall’egemonia intellettuale, rappresentata anche da chi non vuole Altaforte edizioni, o i libri di amici come Scianca, Giubilei, Giuli e compagnia cantante, al Salone del libro di Torino, perché fascisti. Totenkopf, SS, bombe a mano e carezze col pugnal. Affaffini!.
Massa è consumo, massa è commercio, massa è consenso. Massa è tutto ciò che i capezzoli turgidi di un tempo ridotto a essere spietato venditore di ogni cosa, dell’anima, della madre, di se stesso, vorrebbero vedere, toccare, sentire e frequentare ogni giorno per il proprio erotico piacere. Appagante senso di potere.
Allora il piano di lettura degli accadimenti deve spostarsi in un’altra direzione, quella che parla di vicende ulteriori. All’egemonia culturale imperante, le quali rappresentanze non parteciperanno al Salone del libro, dai Wu ming, a Raimo, dall’Anpi, a Zerocalcare, rode fortemente che il mondo alternativo ad essa pensi, scriva, maturi visioni del mondo complesse e complete, legga, produca, insomma goda di un’inattesa vitalità, proprio oggi, penseranno i ducaconti dell’intellighenzia progressista, che la storia avrebbe dovuto condannarli come inutili orpelli, come antichi tromboni di ottone secco, della banda di un Paese che non suona più, che non esiste più.
E invece è il contrario: quel mondo che loro tacciano di fascismo, in un gettito spento di semantica ejaculazione precoce, perché spaventa ciò che non si comprende, inizia a rappresentare la prossimità. La prossimità delle idee del presente, la vita nei quartieri, presso gli ultimi, dei temi trattati, mentre la stantia e adolescenziale narrazione supereroesca degli antifascisti necessari salvatori del mondo, chiamati a (ri)costruire da zero un nemico in camicia nera, da distruggere – atto mai richiesto –, conduce la sinistra pensatrice a passare dalle periferie ad essere periferia del reale, essa stessa. La sinistra pensantora frequenta, sempre più, il suo beato Idillio verde di Pellizziana memoria, una compassata meditazione romantica sulla Resistenza da continuare a prescindere.
Ma Resistenza a cosa? Non certo a un sistema di disgrazie e disgraziati che non riesce a garantire a una partita Iva mezzo futuro (partita Iva, 400 euro in nero, sette giorni di lavoro, senza garanzie, né diritti, che un figlio può solo sognarselo. Idilli…). Bensì resistenza a un movimento culturale, editoriale e politico che esiste non in clandestinità, ma secondo i dettami della democrazia e del vivere civile e, quindi, pubblica libri, organizza eventi, si candida in politica, elegge amministratori, rappresenta porzioni importanti del mondo pubblico e privato? Così per Casa Pound Italia, quanto per altre ispirazioni, provenienti da visioni politiche simili del mondo, che oggi vengono tacciate di imbecillità naturale e primordiale, tale da giustificare una censura al Salone del libro o nella società civile.
ORDUNQUE!
Quell’egemonia parla una lingua vecchia, superata, abbigliandosi di una manifesta superiorità francamente insopportabile, e oggi difficilmente tollerata dall’opinione pubblica. Si nutre di dicotomie modernamente antistoriche, muffe e quasi irritanti, come la polvere sulle bomboniere nel salotto della zia tirchia e sola. E mentre quel “piccolo mondo antico” si strappa i capelli fin dalla cute per impedire e censurare un qualcosa che non le appartiene, e che non conosce, e proprio per questo non riesce a comprendere, la battaglia si sposta non sui messaggi dei libri di Altaforte edizioni, o dei condannati a morte, ma sulla mera impossibilità di dare spazio agli avversari. No pasaran. E invece, grazie a questa egocentrica condanna, che profuma di forte richiesta di attenzioni, dei Raimo, dei Wu Ming, di Anpi e sodali, Altaforte edizioni tocca vette di notorietà, con estrema velocità, che probabilmente avrebbe conquistato, duramente sul campo, dopo anni e anni di costante lavoro e presenza.
La battaglia di Torino, quella sul Salone del libro, è sintomo di una nefasta guerra, ancor più grande, densa e potente che rappresenta lo scontro di questo tempo. E allora: cos’è oggi la cultura, oltre a essere un’indubbia puttana, da pagare per godere? Dove va la cultura, verso le grandi genti o verso la rigenerazione del proprio significato originario di coltivazione? Di coltivazione di un pensiero critico, che le conferisce l’assoluto ruolo di genesi della libertà che le si attribuisce, tramite la storia, l’esperienza, lo studio, l’approccio sentimentale e sensoriale, visionario, del mondo, la propria identità? Ma soprattutto, perché è la sinistra, colpevole e manchevole, ancora oggi, a gestirne le fila “nazionali”? Con quale merito, a qual titolo? Con la vicenda del Salone del libro abbiamo constatato come i “fascisti” pensino, e abbiano persino imparato a leggere, far di conto, colorare gli animali entro i bordi. Insomma, il vivere civile e democratico, perché deve essere esclusiva delle sinistre? Vietare, censurare, impedire, condannare, isolare, alla faccia della democrazia, da vivere vietandola, come può essere un pubblico titolo di merito per sfamare le anime, in maniera riconosciuta, degli italiani?
Come il creare continue e anacronistiche divisioni e tensione sociale, per altro, in nome di una contraddittoria (senza contraddittorio) difesa dei più alti valori democratici e di libertà, piovuti dal cielo SOLO grazie alla Resistenza, oggi elevata a culto laico sostitutivo, possa garantire a un certo sistema di idee di rappresentarci tutti?
E allora, tutto questo polpettone di mirabolanti riflessioni per ricordare di ricordarci. Di ricordarci dov’è il vero terreno di battaglia, quando erutterà il magno vulcano, oltre ai piccoli crateri che sul suo fianco sputano lava a più non posso. Mentre Istat rileva che il 34% degli studenti che frequentano il terzo anno delle medie escono da scuola con un livello di alfabetizzazione insufficiente, la guerra da combattere è più alta e più ampia, e vola nella direzione dell’influenza della storia, non solo dell’immediato appagamento del presente social-giornalistico: quella di Torino, è una scaramuzza “vinta”, seppur non voluta, importante per il mondo sovranista, o per l’alternativa al culto del mondo globale, migrante, precario, senza Patria e senza Dio, che deve tenere conto però, adesso più di sempre, che la battaglia complessiva da vincere, per tornare a influenzare il tempo concretamente, al di là dell’essere una reazione antiallergica al progressismo, è culturale. La sinistra politicamente cadaverica, gestisce ancora il sentore comune e la generazione della cultura di massa. Il sovranismo dovrà, quindi, codificarsi in un movimento culturale unitario e strutturato, che superi ogni pregiudizio e feudalesimo interno per elevarsi oltre, oltre le sigle politiche, oltre gli umani vizi, oltre le abitudini, capace di essere un vero blocco alternativo, pronto e operativo a farsi carico delle responsabilità del presente in maniera coesa. Risorsa umana e pensante contro il degrado e contro il parco giochi.
Io dico che giudicheremo il libro, questa volta, dai contenuti e non dalla copertina. Voi che ne dite?
Ah, prima di chiudere, risulta necessario passare la palla ad Alessandro Gnocchi, che ben nota un particolare, non di poco conto: “Per facilitare il lavoro del Comitato editoriale del Salone 2020, ecco una prima lista di proscrizione. Case editrici da escludere perché pubblicano libri fascisti: Mondadori e Neri Pozza (Pound); Corbaccio, Einaudi, Guanda (Céline); Feltrinelli (Mishima), Adelphi (Simenon); Il Mulino, Passigli e Sellerio (Drieu la Rochelle), Rizzoli (Berto). Sono escluse dal Salone anche le case editrici che abbiano in catalogo almeno un titolo dei seguenti autori per evitare offese alla sensibilità della comunità del Salone: Maurice Barrès, Gottfried Benn, Leon Bloy, Jorge Luis Borges, Emile Cioran, Paul Claudel, Benedetto Croce, Gabriele d’Annunzio, Thomas Stearns Eliot, Edward Morgan Forster, Carlo Emilio Gadda, Knut Hamsun, Hermann Hesse, Eugene Ionesco, Marcel Jouhandeau, Ernst Jünger, Tommaso Landolfi, Thomas Mann, Filippo Tommaso Marinetti, Francois Mauriac, Charles Maurras, Eugenio Montale, Henri Millon de Montherlant, Vladimir Nabokov, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Luigi Pirandello, Giuseppe Prezzolini, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, William Butler Yeats. L’elenco si può allungare a piacimento con molti altri reazionari, conservatori e neoconservatori”
Coerente con ciò che penso e scrivo ormai da mesi…