La censura virtuale non fermerà la battaglia reale contro le follie del progresso. Scordatevelo!
Censurano i Torquemada, nel loro saio unto di disgrazia. Censurano alle porte della fiducia al nuovo governo Conte. Mentre la piazza di Roma, in cui ero questa mattina per vivere il disagio del mio Paese e documentare, s’infiammava tra le urla, con migliaia di persone imbufalite che affollavano i varchi che danno accesso alla piazza del Parlamento, bloccati dalla Polizia. Neanche l’attimo di ragionare sopra le cose di questa immondizia presente, popolata dalla miseria, dalla decomposizione umana, di tradimenti, giravolte, odio, rinnegamenti, che segna la fine palese di una classe politica al servizio della credibilità, dell’istituzione e nel legame indispensabile con il corpo elettorale, di una classe di uomini, fatto ben più grave dell’alternanza storica delle idee al potere. Neanche il momento di chiedersi, “quanto durerà questa motivazione? Per quanto questo morso?”, se non vive nella quotidianità, nei giusti luoghi e nei giusti modi, nel tessuto più prossimo sulla pelle d’Italia, nella militanza continua, come forma di partecipazione del presente ed espressione della propria identità, che si manifesta in vari modi, si allenta inesorabilmente, lasciando alla sinistra la possibilità di rigenerare continuamente il suo stargate, che gli permette di generare la cultura di massa e il sentire popolare anche quando è cadavere politico. Neanche qualche istante per osservare quella marea di individui e tricolori, per dirsi “pare essere giunto il momento di unire e non di dividere”, con le destra unite in piazza, superato l’atavico odio interno, gli antichi vizi, il brutale vizio dell’incastellamento, la coltivazione dell’ego sociale, i cerchi magici. Neanche il tempo di ammettersi che non si tratta di mettere in scena una rivoluzione, gli italiani di oggi non ne sarebbero capaci per molti motivi, ma di offrire un segnale concreto di contrasto al governo, riempiendo il senso del vuoto che intercorre tra Paese reale e Paese dei balocchi parlamentari e governativi.
Neanche il momento di ragionare sull’accaduto, in un frastuono che, da un mese, offende e umilia l’integrità di ognuno, come un moto ondoso spaventoso, che la censura, subdola e bastarda, colpisce e cancella. Che curioso modo di fare democrazia, di praticare la libera espressione del pensiero. Decine di pagine di Casa Pound Italia, su Facebook, sono state cancellate in un secondo e tutte insieme. Senza motivo e, a quanto pare, lontano da ogni casualità. Compresi i profili privati dei principali dirigenti di Cpi, dei consiglieri comunali eletti in quota Cpi, di molte altre associazioni, di editori, dei membri della redazione del Primato Nazionale e di numerose altre figure certamente non allineate con il culto del momento contingente, provenienti dal mondo comunitario, sovranista. Il blitz degli sfascisti è compiuto. Curioso caso di libertà, che logora chi non ne ha. E il più delle volte chi non ne ha è chi la professa, per bluffare e fregare, per colmare il vuoto spinto e manifesto della slealtà, evidentemente. La professione di libertà nell’epoca della miseria umana, quella che chiude il precedente ciclo storico e ne apre uno nuovo (con la dignità dei cambiamenti epocali, anche se non percepiti), quello che non parla solo di politica e governi, di vicende e ministri, di manovre e programmi, ma di un’intera classe umana, su cui camminano gli esecutivi, le idee, che nutrono il presente di carne, non di solo spirito e immaginazione del futuro, che è andata al macero e ora si sta decomponendo, quella per cui, come ebbi modo di scrivere di recente sempre qui sul Giornale, ogni credibilità viene meno, in maniera plateale, rispetto al proprio posizionamento. L’assenza degli uomini e delle loro dimensioni, della loro formazione, della loro profondità sarà il gran male del tempo venturo. Masse furenti. Questa la grande battaglia, quella degli uomini sovrani contro gli uomini replicanti, striscianti.
Tornano i Torquemada. Casa Pound, nel proprio agire quotidiano, pare offrirci l’idea di popolare il reale e la prossimità, tra gli ultimi, nei quartieri, tra i senza diritti, i lasciati fuori, avendo sostituito le sinistre che dalle periferie sono diventate periferie del reale, e questo non è censurabile, oltre ogni segnaposto virtuale che si ingozza gaudente di illusione della partecipazione e del potere. Casa Pound si nutre di un’identità certa, reale, storica e ragionata, da cui si può anche dissentire, talune volte, ma che è tale, manifestata, che non si genera nella virtualità e non ha bisogno di essa, tanto più di altri movimenti nell’epoca dell’idolatria e della estrema personalizzazione della politica, morbo in primis salviniano. E questa è la vittoria più grande e antimoderna di chi non prolifera come batterio inservibile alla storia, nella social-democrazia.
Poco male eliminare un residuo di virtualità. Che rinascerà comunque. Grave, gravissimo per quanti strillano, nella loro cravattina di rappresentanza o nella loro folta chioma da libertino a casa propria, che la libertà di ognuno è sacra, ma sempre col culo degli altri. Grave, gravissimo per tutti. Anche per chi ha perso il senno mordendosi d’ira ogni giorno, tifando e non ragionando più sopra le cose; anche per chi ha perso il senso dell’oggettività, della libertà superiore a ogni condizione politicamente imposta, come fine umano e basilare. Questa è una frattura scomposta, spaventosa e insanabile anche se avesse colpito in altre direzioni ideali e politiche. Oltre alla demenziale esultanza di parte, dovrebbe far riflettere ognuno.
Mala tempora currunt per gli uomini integri, che forse, in questo momento, dovrebbero compiere un vero gesto eroico: superarsi. Superare la comodità e le priorità della propria dimensione per offrirne gran parte alla serrata dei ranghi, in una vera battaglia di depurazione civile contro la democrazia edittale in atto e a venire. Chissà che un domani non tocchi ai profili della Lega, di Fratelli d’Italia, di giornalisti indipendenti, di opinionisti liberi. “Un giorno vennero a prendere me”, com’era che finiva, “ma non c’era più nessuno a protestare”…