La resa della Chiesa che si ferma durante il virus
“Chiudono” le chiese. Si spegne la fantasia della chiesa, si spengono le diocesi, a Senigallia come altrove. Si spegne la messa, anche quella. Il ponte con Dio chiuso. Funerali a porte chiuse, o solo con la benedizione della salma, eccetto per i familiari; niente acqua santa nelle acquasantiere; sospese le visite alle famiglie per le benedizioni pasquali, niente catechismo.
I cristiani sempre più soli e spallati, poco alla volta, verso la setta in via di superamento, capriccio di una società che ha altro a cui pensare. Persino per tutti i fedeli di Gesù massacrati nel mondo pare non esserci mai tempo per una durissima reazione politica, per un efficace intervento globale.
Attività chiusa per umanissimi risvolti degli apostoli, pigrizia e paura, troppo connessi e poco marcianti. Marcescenti. Per precauzione, certamente, si chiude il cristianesimo. Comprendiamo la dovuta, OVVIA, premura (derivante anche dal decreto governativo vigente, per quanto, come ben scrive oggi Farina su Libero: “la vita cristiana, e la sua fraternità e capacità di donazione, nascono dall’Eucaristia. C’è un’incommensurabile distanza tra la precauzione, anche estrema, e la negazione di un gesto. È una specie di superstizione al contrario imposta da una scienza che entra in un campo non suo. Se stai a 1,82 cm di distanza, che è la misura di sicurezza certificata per non restare nel raggio della pioggia salivare (droplet), perché non vieti al barista di agitare il cocktail ma al prete di alzare il calice? Se consenti al cameriere di scodellarti la minestra, perché vietare di porgere l’ostia sulla mano? […] Qui c’è un’intrusione nei gesti religiosi, un divieto del Mistero, lasciati passare come nulla fosse. I nostri vescovi paiono infatti timorosi di dire alcunché di sensato, ed è anch’essa un’obbedienza al principio di precauzione onde evitare probabilissime persecuzioni”), ma quando mai il cristianesimo ha chiuso? È aperto persino la domenica (…).
Quando mai Cristo si è rifiutato di accarezzare un lebbroso? Lì dove, nel pieno amplesso dei significati, non si manifesta solo una guarigione fisica, quella operata da Gesù, ma un risanamento dell’anima che cerca il dolore, lo scova e lo annienta.
Come un virus.
“Ero malato e mi avete curato”.
Cupio dissolvi, a suon di Dvorak, della chiesa pompieresca: là dove c’è il pericoloso, noi corriamo. La troverai i Vigili del fuoco. La dove un tempo trovavi l’eroismo e la carità della chiesa ultima dea, come la Spes. Chiesa e speranza baluardo di confine. Da sempre, di sempre. Confine tra il vero bene e il male di vivere, che di per sé sono i limiti dell’uomo. Gli estremi superati i quali, in ogni caso, vi è l’eternità. Mica cazzi, mica la piscina condominiale. Leggere delle diocesi che interrompono le attività è sentirsi abbandonati anche dal bastione ultimo divino, dall’estrema ratio, quella che si fa fucilare per salvare gli innocenti, quella che corre nonostante il pericolo, quel Dio che t’accoglie anche con la peste più nera, sempre, H24, mentre, giornalmente, si mostra la più profonda necessità di curare carnalmente, ovvio, ma anche spiritualmente il virus, che s’allunga come ombra nell’assenza degli uomini e del loro spirito turbato, presenti solo in carne, ossa e capacità di replicare i ritmi, i vizi, le psicosi che l’economia impone alla politica e la politica impone loro.
La chiesa vive nella prosecuzione del mandato apostolico, estensione dell’esempio di Dio che fu dei Santi nei secoli. Chi s’è fatto sparare dalla mafia per NON rinunciare alla missione di salvare i ragazzi del quartiere dalla loro ingloriosa fine di tossici serventi del male urbano, chi si è sacrificato per salvare altre vite. E poi gli appestati, i disgraziati, i condannati, i puzzolenti, i rincoglioniti, i disperati. Secoli di Dio con la mano tesa alla fine. Fino ai giorni vicini, dal cappuccino San Giuseppe da Leonessa, predicatore e fondatore di ospedali, al normanno Beato Pietro Francesco Jamet, che si spese nell’assistenza dei sordomuti; dalla bretone Santa Maria della Croce Jugan, che si mise al servizio dei malati anziani, alla Beata Liduina Meneguzzi, di Abano Terme, che si prodigò per i feriti di guerra; dal milanese Beato Francesco Spinelli, che trasse dall’Eucarestia la forza per curare gli ammalati, al polacco Beato Stefano Vincenzo Frelichowski, che fu vicino ai sofferenti nel lager di Dachau.
La chiesa è roba da ultimi.
Ci si può sentire abbandonati da Dio? Dio non abbandona. Potrebbero farlo i suoi rappresentanti, sempre così umani da evidenziare, ancor più, la divisione tra il piccolo uomo impotente, impaurito e il grande Dio. L’insufficienza dell’Uomo verso il Divino. Di quell’unico Divino che ha superato l’esame più difficile persino per un Dio, sviluppando prova di esistenza: diventare uomo.
Ed eccola, infine, sembra giungere.
La conferma della sparizione di Dio dalla quotidianità della vita. Il suo incatenamento alla dimensione privata, ridotto ad amico immaginario, serale, meglio ancora notturno. Una sorta di melatonina per prendere sonno e approfittare per parlare con la coscienza. Poiché diurno c’appare già come genio della lampada, evocato solo quando l’aereo sta cadendo o quando s’ammala la cugina. Dio, quanto la Bellezza, continuano il proprio viaggio nella storia, certamente. Ma lo fanno non incidendo più nella costante normalità, soprattutto pubblica, come questione di maturazione sociale, come fattore che contribuisce alla determinazione, alla costruzione della vita di ogni giorno e di ogni tempo. Come dedica (necessaria) alla vita. Come ossequio dovuto. Un binario parallelo, un fattore estraneo all’edificazione della normalità. Un vezzo per viziati, o per pochi.
Stante l’epidemia, alla chiesa sta, ora, raddoppiare gli sforzi, le fatiche. Farsi sanguinare le corde vocali a forza di manifestare la propria presenza. Alternativa, altrove: siamo qui fratelli. Pensiamo ad altro, preghiamo altro, cantiamo ad altro. Nulla interrompa il ponte con Dio. Riflettiamo sulla mano di Cristo che guarisce il lebbroso. Cantare a Madonna povertà tra i vicoli umbri sotto la pioggia, sorridendo alla letizia, come il Francesco di Zeffirelli. Quel Francesco mondato da ogni peso, se non quello di Dio (mica cazzi/2). Semplicemente percepire il calore della presenza e della protezione dell’anima turbata, inquieta dal mondo fermo, l’idea di fare quadrato, di non sentirsi escluso, inquarantenato ulteriormente. E venga perdonata la mia misera umanità.
ESSERCI, ESSERCI, ESSERCI. Mentre tutto intorno ruota e muore.
La Fede in Cristo è anche sofferenza. Va alla sofferenza. È eterno vaccino. È sconfitta della sofferenza esistente. Prima di essere Dio eterno, Cristo è stato un condannato a morte. È stato corona di spine. La chiesa che teme di essere perseguitata, non segue il messaggio di Gesù. Perché dei perseguitati per causa sua sarà il regno dei cieli, e non il contentino degli ominicchi.
Allora, della chiesa, non martiri morenti di polmonite a tutti i costi, ma volontaria cura delle anime. La dove tutti fuggono, io arrivo. Pronto intervento di Dio, servirebbe. In tutti i sensi. Esercito celeste presente con le sue legioni per un sonoro calcio in culo alla Bestia. Nessun prete che distribuisce benedizioni dall’alto del suo aereo, per quanto pittoresco e genuino, può compensare il fatto che la Fede lenisce l’anima, non ti paga l’abbonamento di Sky, piccolo uomo folla, ma contribuisce a generare pace. Quella pace che, nel regno delle emozioni elevate a metro di governo del reale, è vitale come acqua ad un corpo completamente disidratato.
Pace, silenzio, riflessione. Connessione con le dimensioni dell’uomo. Connessione con la profondità, con l’Assoluto. Distrazione Santa dalla mediatizzazione a ritmi forzati, giorno e notte. Bulimia d’informazione. Ora che siamo in quarantena. Come in galera, occorre riflettere.
Questo spaventa ancor più. Rendersi conto che la Fede non è più una fase determinante della vita degli uomini, né atto, né dedica alla vita. Una chiesa in affanno, pare, che sempre più palesemente non riesce a porre un’alternativa alla disgregazione degli uomini e dell’immagine che hanno di Dio.
Ma solo gli uomini di poca fede non vedranno il sorriso solare di Dio. Gli apostoli, seppur torturati, non hanno mai mollato.
E per chi ci crede, è proprio ora che bisogna avere ancora più Fede. Con o senza la dovuta precauzione governativa.
Solo una riflessione.