Una revolverata in fronte. Una botta di pistola secca che riecheggia nelle navate di Notre Dame ancora non violentata da un fuoco senza nobiltà. Dieci anni fa si toglieva la vita Dominique Venner in un rito di purificazione, dinamitardo, allarme per il mondo libero, ancora con gli occhi aperti rispetto: “Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità del destino. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari, prima su tutti la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà millenaria. Mentre difendo l’identità di tutti i popoli a casa propria, mi ribello nel contempo contro il crimine che mira alla sostituzione dei nostri popoli”.

Sanguinante lascito a sporcare una tomba di marmo coperta, oggi condannata all’indecifrabilità per eccessivo pericolo di traduzione. Venner non si può tradurre, Venner non si può evocare, Venner non va letto, né seguito, dice strisciando chi vuole estinguere tutto ciò che si pone come alternativo all’imposto, quei demiurghi del conformismo, maestri burattinai della globalità indistinta come unica religione di Stato.

Più di tutto, invece, occorre essere grati all’intellettuale francese per la sua volontà, estrema nel suicidio, di porsi come grande ordinatore del caos, per aver difeso continuamente le dimensioni dell’uomo dagli attacchi dell’isteria, dell’estremismo progressista, nella variante culturale e nella visione selvaggia dell’economia, per aver ricondotto a un senso del limite l’uomo sottraendolo al macello dell’indistinto, individuo sempre precario, migrante, sismico, senza Dio, né patria, senza radice, incapace di dedicarsi la vita e di radicarsi in un’identità e in un processo di continuo sviluppo del pensiero critico. Strada per il paradiso che non può esistere senza il ritorno all’origine e senza che quell’origine non sia nell’Europa.

Un “Samurai d’Occidente”, Venner – come il titolo di una sua opera fondamentale – in vita come D’Annunzio, nel ripercorrere l’uomo intiero che si esplica in libertà e in cui la libertà è partecipazione al suo tempo e alla storia, nella morte, come il Mishima del seppuku che togliendosi la vita diventa un santo laico, si eterna, diventa luce e gloria, sole e acciaio, come la spada del Samurai che resiste alla distruzione programmata degli uomini e come il sole in cui la gioia della morte lo trasforma.

È impossibile ridurre il pensiero venneriano a poche righe. Ma possiamo ringraziare chi ne ha disposto l’atto del ricordo, pubblicandolo, leggendolo, diffondendolo, come Andrea Lombardi, editore genovese già attentissimo lettore e amplificatore della figura e delle opere di Céline, che nel decennale del sacrificio del pensatore francese pubblica con la sua Italia Storica, un volumetto che non si relega al sunto, limitando la forza del vennerismo, ma diventa un’arma digeribile capace di passare di mano, in mano e dare conforto a chi è in trincea contro l’autoannullamento degli uomini – vera, grande battaglia di questa nostra epoca e della generazione presente al tempo e meno a se stessa – e delle loro dimensioni di profondità.

“Per esistere e per trasmettere l’anima Europea” è un breviario dell’uomo integro; consigli pratici di Venner per edificare “la cittadella interiore” di cui colpisce la forza della meditazione che si traduce in atto pratico digeribile per ognuno, una forza capace di costruire un pensiero critico, una mano che si aggrappa a quella degli uomini folla – evoluzione leboniana degli uomini massa indicati da Ortega y Gasset, dediti solo alla propria gratificazione istantanea – e li tira via dalla lavatrice infernale dell’occidente senza Patria, né Dio, senza radici, né spirito, senza confini, con la potenza di una santità laica. Scrivere ogni giorno il proprio breviario personale per “vincere la decadenza provocata dall’eccesso di informazioni, l’una che scaccia l’altra, lasciando solo il vuoto”, tornare a concentrarsi, oppure leggere “non per fuggire dal mondo, ma per ricostituire le vostre forze e fare il pieno di energia”, e così “Riappropriarsi di un momento per sé. A casa, create una “rottura” con il mondo esterno: spegnete il cellulare, il televisore, la radio, staccate la connessione internet. Riappropriarsi del silenzio per ritrovare sé stessi”.
Le piccole cose reggono il tutto. Atomi e molecole compongono ogni esistenza, dalla foglia, al figlio. In questo Venner corre alla base delle cose umane per riconnettere il tessuto degli uomini occidentali con se stessi, col rapporto sacro tra Natura, Bellezza e Assoluto, con ciò che salva dalla precisa volontà di mondare le dimensioni di profondità, atto necessario per ripulire la Civiltà occidentale prima di scomporla in un semplice tratto geografico utile, a livello numerico, come carne da macello commerciale.
Ritrovare il rapporto con i riti antichi, recuperare passione per lo sport, coltivare la bellezza per se stessi che “risiede in tutto e soprattutto nei piccoli dettagli della vita”, ritrovare l’Europa come casa comune, come plasma del nostro sangue e non come una densa colla di trattati: “pensare e parlare dell’Europa, unione di popoli e civiltà. È ancora meglio – e perfino indispensabile – vivere davvero l’Europa stringendo
legami personali, oltrepassando le abitudini e le barriere linguistiche. Via Internet e (o) zaino in spalla, come i Wandervögel di altri tempi, partire
per conoscere i ragazzi e le ragazze della nostra grande patria europea. Riscoprire anche i nobili luoghi della nostra civiltà in occasione di “pellegrinaggi” tra amici o in famiglia: Stonehenge, Delfi, la foresta di Brocelandia, Toledo, Alesia,
Mont Saint Michel, Salisburgo, Bayreuth, Sils-Maria… “.

Quell’Europa che si erge oltre, negli occhi militanti di Venner, arrivando a essere persona e tempo, luogo contrapposto al non luogo odierno in cui, afferma: “cerco rifugio in me, più vicino possibile alle mie radici e non in una lontananza che
mi è estranea. Il santuario in cui vado a raccogliermi è la foresta profonda e misteriosa delle mie origini”.
Europa, radice, identità per la storia, per la vita. E l’europeo integro, presente a se stesso. L’uomo di Venner è degno di ogni epoca, degno in ogni epoca.

Questo è l’animo del pensatore francese, di cui oggi celebriamo i dieci anni dalla scomparsa, puro, nobile, salvifico, sciolto nelle pagine del lavoro retrospettivo di Lombardi che termina con un’intervista, l’ultima prima del suo sacrificio.

Passi densi per la gioventù a cui consegna un fuoco sacro, a cui ricorda di assumersi la propria porzione di responsabilità agli occhi della storia e in cui celebra l’importanza della militanza come elevazione e come formazione: un presidio ideale semovente sciolto in società, contrapposto al segnaposto virtuale. In queste parole terminali ma esplosive come lame di fuoco, Venner abbraccia senza rinunce la gioventù e ne parla come un padre, evitando di rifuggirla: “Quelli della mia generazione (in realtà una piccola minoranza di questa generazione) hanno avuto la fortuna di vivere nell’orizzonte della guerra e nella speranza di una rivoluzione nazionalista europea […] Coloro che ci avevano preceduto ci ave-
vano trasmesso poco, se non esempi di coraggio nelle avversità, il che non è poco comunque. Ma, appartenendo a un’altra epoca, essi non potevano
consegnarci le chiavi per pensare, vivere e agire nel nostro mondo. Un mondo totalmente nuovo, nato dal grande ripiego europeo seguente alla seconda guerra mondiale, alla decolonizzazione,
all’egemonia americana. È per questo che dico che noi eravamo degli orfani”, e prosegue, “noi abbiamo fatto in modo che voi non siate orfani. Abbiamo ridato vita al fuoco sacro delle nostre origini, in parte spento da molto tempo. E questo fuoco ve lo abbiamo trasmesso”.

Sta a noi, oggi, proseguire il viaggio luminoso di questo fuoco, diventandolo, nella traduzione della tradizione, nella lucida difesa dell’origine contro lo scorporamento e la cancellazione, della più integra forma di umanità contro la massificazione, nell’amore e nel pathos.

Uno sparo ha spezzato il silenzio di un mondo senza grazia.

Tornare a dedicarsi la vita, essendo alleati del tempo, ci dice Venner consegnandoci pronti ai nostri giorni  mentre lui si donava all’eterno.

Sia benedetto Dominique Venner, di cui non preghiamo il cadavere ma amplifichiamo la vita nel pensiero.  Che queste mie parole, insufficienti, non siano lette come un ricordo, ma come missione ardente.