“L’equivoco del sangue”, il nuovo giallo coloniale di Giorgio Ballario
Ed eccoci arrivati alla settima indagine del maggiore Aldo Morosini, il protagonista della fortunata saga in giallo coloniale di Giorgio Ballario. Come i precedenti lavori anche “L’equivoco del sangue” (edizioni Il Capricorno, p. 335, euro 14,00) è ambientato nell’Africa Orientale italiana durante gli anni Trenta del Novecento e anche questa volta il nostro protagonista — smessa l’uniforme dei carabinieri e indossata quella PAI, la polizia coloniale — dovrà risolvere un intricato garbuglio, intriso di sangue, passioni, ricatti.
Con l’abituale ma mai pedante minuziosità, lo scrittore torinese tratteggia con maestria lo scenario, intrecciando l’alienità esotica dell’Eritrea con l’alienità esistenziale e morale dei personaggi che popolano il “voyage” di Morosini nelle profondità del Male. Le languide atmosfere di Asmara, capitale della colonia primigenia, celano infatti torbidi e inconfessabili segreti che passo dopo passo Morosini assieme ai suoi fidi — il maresciallo Barbagallo e lo sciumbasci Tesfaghì — indagheranno e faticosamente sveleranno.
Punto di partenza l’orribile omicidio di Samya, una donna indigena. Apparentemente un delitto tra i tanti, da archiviare e dimenticare ma la vittima è al servizio dei Bouchard, una delle famiglie italiane più potenti dell’altopiano e all’occhio attento del maggiore “qualcosa” non torna. Anzi più cose. Quando poi muore altrettanto misteriosamente la datrice di lavoro di Samya, l’erede dei Bouchard, i fatti si aggrovigliano ancor più. Insomma, “parenti serpenti” ma non solo.
Convinto di un legame indicibile tra i due decessi, l’ufficiale inizia a districare la matassa, illuminando retroscena scottanti quanto imbarazzanti e spingendosi dalle architetture razionaliste di Asmara sino ai tenebrosi monasteri copti di un’Etiopia appena conquistata e per nulla pacificata. Ancora una volta ad aiutare Morosini ci sarà l’amica Lucilla — una presenza forte, dalla vita vivace, peccaminosa — che illumina a suo modo la solitudine amorosa dell’investigatore.
Una volta di più Ballario impreziosisce il suo racconto con un cammeo di qualità: l’incontro con Giovanni Comisso, un grande della letteratura italiana novecentesca all’epoca realmente presente sul posto in veste di giornalista. L’occasione per Morosini (e il lettore) per ricordare quell’impresa di Fiume a cui Comisso partecipò e stendere uno sguardo disincantato sulla contradditoria realtà del tempo.
L’autore, ottima penna e intelligenza curiosa, ci ha abituato infatti a diversi schemi di lettura: accanto all’avvincente trama morosiniana l’autore propone un’approfondita ricostruzione storica del periodo, incastonando con sapienza i tanti aspetti dell’esperienza coloniale nostrana, ricordandone gli indubbi meriti ed evidenziando altresì paradossi (il cosiddetto “madamato”), errori, efferatezze. Il risultato è un gran bel libro, da leggere e rileggere.