Su Gabriele D’Annunzio si è scritto tanto, tantissimo e — almeno nella produzione più recente — non sempre con esiti felici. Ai più, il “vate” pescarese rimane una figura inafferrabile e, spesso, incomprensibile. Uomo dalle troppe vite — poeta, letterato, autore teatrale ma anche rubacuori seriale e spendaccione compulsivo e poi oratore, uomo d’arme, condottiero “disobbediente” e, infine, icona malmostosa del regime mussoliniano — D’Annunzio è e resta un rebus avvolto in un enigma, un tavolo di lavoro sempre aperto.

Su queste coordinate si muove “Venti radiosi giorni”,  (Il Cerchio, Rimini 2024. Pp. 120, euro 20.00) l’interessante quanto stimolante lavoro di Gianluca Kamal dedicato ad un passaggio centrale della saga dannunziana, quella manciata di giorni che imprimeranno all’Italia intera un’accelerazione storica drastica quanto radicale. Defintiva. Come ricostruisce l’autore, tra il 5 e il 24 maggio 1915 il dandy raffinato — l’homme couvert de femmes… — si trasforma, per uno straordinario e irripetibile concatenarsi d’eventi, in una sorta d’annunciatore mistico di un sentimento minoritario ma sempre più potente e diffuso che trascina, nel segno di una “rigenerazione morale”, l’Italietta liberale e neutralista nelle “tempeste d’acciaio” del conflitto mondiale.

Sulla base di un lavoro di ricerca minuzioso e accurato, Kamal ripercorre quelle giornate fatidiche partendo dal discorso di Quarto, l’appuntamento genovese in onore dell’impresa dei Mille. Circondato da una folla entusiasta, una volta giunto davanti al monumento a Garibaldi, il poeta diventa il Messia laico di quell’“Italia più grande” che verrà costruita dal sacrificio dei “beati di cuore”, di quelli che una volta “ritornanti con le vittorie, vedranno il viso novello di Roma”. L’appello di Quarto accende un grandioso quanto contradditorio fuoco di passioni e tormenti in tutto lo Stivale, portando D’Annunzio sino a Roma dove in Parlamento si consumerà l’ultima tappa: la dichiarazione di guerra all’Austria Ungheria.

Nell’indagare le settimane precedenti, l’autore però non ignora — riprendendo le lezioni di Renzo De Felice e Eugenio Di Rienzo — le convergenze dell’”esteta armato” con i poteri emergenti o già consolidati. A volere la guerra — all’apparenza solo una passeggiata militare di pochi mesi, forse un anno; la realtà delle trincee invece fu inaspetta e terribile… — non vi sono solo gli irredentisti, i vociani, i futuristi, i socialisti di Mussolini e i sindacalisti di Corridoni, ma anche la monarchia, il direttore del Corriere della Sera Albertini (portavoce degli industriali del Nord), le Forze Armate e, specialmente, la Regia Marina e, ovviamente, la massoneria. Un complesso politico-economico con cui il “vate” — rivelando inattese capacità politiche — si confronta e si destreggia costantemente e  —sorprendentemente, come poi a Fiume — con raziocinio e calcolo; una facenda entusiasmamente ma a tratti opaca che Kamal, con scrittura elegante, sa richiamare, alternando gli struggimenti di D’Annunzio con i secchi estratti dei comunicati ufficiali e le cronache giornalistiche dell’epoca.

Insomma, un’ottima prova che attende d’essere completata con un’altra, questa volta più articolata nel tempo. Del resto D’Annunzio ha ancora molti segreti da svelare e tante sorprese da rivelare.

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