Storia/ I “lanzichenecchi italiani” di Winston Churchill

La guerra è sempre cosa brutta, sporca, devastante. Lo sappiamo. Ma tra le varie forme di conflitto quello fratricida è il peggiore, il più lacerante, il più cattivo. Nello scontro tra fazioni opposte ma similari— per nascita, lingua, cultura, abitudini — l’odio reciproco, la lotta senza quartiere, la ferocia inghiottono tutto e tutti. Il sangue chiama sempre altro sangue. L’Italia è un paradigma perfetto. La guerra civile è, piaccia o meno, parte integrante della nostra storia. Siamo bravi, anzi bravissimi ad odiarci, a massacrarci. A prestarci, per piccoli calcoli endogeni, ai grandi giochi esogeni. E a volonterosamente offrirci, più o […]

  

D’Annunzio, “disobbediente” ad intermittenza. Il libro di Eugenio Di Rienzo

Sceso il silenzio sui campi di battaglia il 18 gennaio 1919 si apriva la Conferenza di Versailles. Fu allora, riprendendo il colonello T. E. Lawrence, alias Lawrence d’Arabia, che «all’alba del mondo nuovo, gli uomini vecchi tornarono e decisero la loro pace». Sorgeva il nuovo ordine post bellico euro-atlantico, esiziale redde rationem ai nemici sconfitti e brusco rappel à l’ordre per gli alleati minori: Italia, Belgio, Serbia, Grecia, Romania, Giappone, Portogallo. In guerra presenze necessarie e, talvolta, indispensabili, in pace fastidiosi coriandoli. Da premiare (Belgio e Giappone), usare (Serbia e Grecia) o marginalizzare. Fu il caso dell’Italia. Purtroppo a rappresentare […]

  

Benedetto Croce, 1943-48. Un filosofo tra le rovine

«Siamo stati vinti, e questo non bisogna dimenticare; ma anche i vinti hanno una dignità da serbare, e anche i vinti hanno o trovano armi per difendersi specialmente nella molteplicità cozzante degli interessi del mondo; e operare per l’Italia e frenare anche il mal animo, la cupidità e la prepotenza inglese, si può, ma richiede uomini che abbiano occhio acuto e braccio fermo». Così, il 12 luglio 1944, scriveva sconsolato Benedetto Croce all’indomani delle sue dimissioni dal governo guidato dell’inetto Bonomi. Ma nel disastro epocale seguito al 25 luglio e all’8 settembre ‘43, uomini di tal fatta non c’erano; restava […]

  

Galeazzo Ciano, una vita sbagliata in un tempo crudele

Era il 1982 o il 1983. Poca conta. Ero a Roma con il barone Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse — deputato aristocratico e anticonformista di un partito popolano e spesso conformista — indugiando in piazza del Popolo. Ci sedemmo da Rosati dove ci attendeva Pino Romualdi, il “padre nobile” della Fiamma e, allora, presidente dell’acciaccato vascello “tricolore”. I due iniziarono a discutere sulle solite, estenuanti, tediossime questioni di bottega missine. Poi, all’improvviso, Romualdi s’interruppe. Si alzò in piedi e salutò con deferenza un’elegante anziana signora che, casualmente, si era seduta accanto a noi. Tom, a sua volta, si capriolò […]

  

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