10Set 15
La sindrome cinese non fa paura
Il crollo del mercato cinese non è l’avvisaglia di una nuova recessione mondiale. Di un nuovo (e temutissimo) stop dell’economia globale si potrà parlare se e solo se gli Stati Uniti evidenzieranno segnali di arretramento. Per ora non alle viste. Anche perché il governatore della Fed, Janet Yellen, sta seriamente meditando sul programmato rialzo dei tassi il cui primo effetto sarebbe, appunto, quello di rallentare il progresso del Pil a stelle e strisce.
Secondo Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, la correzione dei mercati evidenziatasi ad agosto è una situazione «normale» che ricorda molto da vicino quanto accadde nel 1998. Diciassette anni fa, racconta il gestore, «i mercati erano saliti moltissimo nel periodo gennaio-maggio e in agosto corressero pesantemente (-20% circa gli indici americani e -35 % l’indice tedesco) a causa del default russo e della crisi del fondo hedge LTCM. La Borsa cinese, ricorda, ha perso di circa il 40 % in poco più di due mesi, ma aveva segnato un rialzo del 150 % in meno di un anno, quindi la correzione ha anche una spiegazione fisiologica.
«La svalutazione dello yuan – osserva De Michelis – si è rivelata tutto sommato contenuta (soprattutto se paragonata ai movimenti delle altre valute) e anche l’utilizzo delle riserve valutarie è stato modesto, visto che la People’s Bank of China (la banca centrale cinese; ndr) detiene tuttora oltre 3.560 miliardi di dollari.
Secondariamente, il governo cinese può ancora contare su tutta la “cassetta degli attrezzi” per stimolare l’economia (o forse manipolarla) , seppur prima o poi questa debba necessariamente normalizzarsi e camminare con le proprie gambe , trasformandosi così in un’ economia di libero mercato, anche se temo che dovranno trascorrere ancora molti anni prima di tagliare questo traguardo».
In ultima istanza, il calo del petrolio storicamente non ha mai comportato crolli azionari, anzi, di solito rimpingua i portafogli di risparmiatori e aziende come se fosse un taglio delle tasse indiretto. In Europa, dove gli indici hanno ritracciato pesantemente ritornando grosso modo sui valori di inizio anno, si riscontrano: un euro svalutato, un costo del petrolio più basso, una banca centrale accomodante e in pieno Quantitative Easing ( che potrebbe addirittura estendere) e un miglioramento della redditività delle aziende. Tale elenco comprende, perciò, fattori di sviluppo del mercato azionario.
«I rischi di una nuova recessione mondiale – osserva il responsabile investimenti di Frame Asset Management – ci saranno se l’economia americana dovesse frenare, ma allo stato attuale sembra godere di buona salute, seppur con qualche acciacco qua e la, ed è per questo che la Yellen sta valutando attentamente se , come e quando alzare i tassi. Morale… Quanto visto in agosto mi è decisamente sembrata più una correzione tecnica da corsa alla chiusura delle posizioni per motivi di risk management , piuttosto che una modifica delle condizioni o delle aspettative circa gli utili futuri».
«Di fronte a questi mini crash di mercato – conclude De Michelis – bisognerebbe avere il coraggio di comprare mentre al contrario, quando le cose vanno bene, occorre alleggerire. Purtroppo invece la paura, o meglio lo shock subito dopo la crisi del 2008 ha lasciato segni psicologici difficili da cancellare. Le vere alternative al mercato azionario (anche in versione Long short o Market neutral), potrebbero essere le valute , ma sono estremamente volatili e pertanto occorre trovare dei gestori macro veramente preparati per poter effettuare un buon investimento».
Wall & Street