I soldi del califfo
La denuncia del presidente russo Vladimir Putin al G20 di Antalya circa la corresponsabilità dei Paesi sviluppati nel finanziamento dei terroristi dell’Isis riapre un dibattito che, negli ultimi anni, è rimasto sottotraccia in tutte le analisi geopolitiche della minaccia costituita dal sedicente Stato islamico. Trattandosi di un’entità illegale e illegittima, non è possibile stabilire con certezza quanto grande sia e come venga gestito il patrimonio del Daesh. Bisogna fidarsi, come quando si parla del bilancio di una società attraverso un comunicato stampa e non attraverso la relazione annuale o semestrale. In questo caso, il comunicato stampa è quello fornito dalle forze di intelligence statunitensi che, però, sono accurate e possono essere equiparate, in questo caso, a una fonte primaria di informazione. Anche il reportage dettagliato pubblicato dalla Stampa, infatti, muove attorno agli elementi comunemente a disposizione, a partire da un’analisi della Brookings Institution, istituto Usa di ricerca politico-economica del quale fa parte, tra gli altri, l’ex governatore della Fed, Ben Bernanke. Le principali fonti di finanziamento dell’Isis sono rappresentate dalle vendite clandestine di petrolio, dall’estorsione e dalle attività criminali correlate. Il giro di affari è compreso tra gli 1,5 e i 2 miliardi di dollari annui.
Petrolio
Il califfo Al-Baghdadi e le sue milizie controllano una decina di pozzi di petrolio tra Iraq e Siria. La produzione, sebbene le potenzialità siano elevatissime, non dovrebbe superare i 100mila barili al giorno. Il prezzo del greggio sui mercati internazionali è poco sopra i 40 dollari al barile, ma lo Stato islamico pratica prezzi molto concorrenziali e, secondo le stime degli analisti, i guadagni dalle vendite sarebbero superiori al milione di dollari che porta il totale annuo a 450-500 milioni di dollari. I compratori dell’oro nero del califfato sarebbero Giordania, Kurdistan, Turchia e la stessa Siria in quanto le città finite sotto il controllo di Daesh hanno necessità energetiche molto elevate. Se la Siria non fosse bombardata, i profitti potrebbero essere maggiori. Il problema principale, però, è un altro: le indagini sul commercio clandestino del petrolio «rubato» dall’Isis finora non sono approdate a nulla a causa della compiacenza dei sistemi finanziari dell’area.
Estorsione
La storia delle cooperanti italiane Greta e Vanessa rapite in Siria è nota così come è noto che il nostro Stato avrebbe pagato circa 11 milioni di dollari per ottenere la loro liberazione. Sequestri di ostaggi a scopo di riscatto e imposizione di un sistema di tasse molto capillare nei territori occupati è la seconda fonte (se non la prima) di finanziamento dell’Isis. I proventi sarebbero almeno pari a quelli dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Nelle città controllate, poi, l’Isis riforma il sistema di tassazione. I primi a essere colpiti sono i non-islamici che seguono religioni monoteiste. A essi è imposta la jizya, la tassa che gli «infedeli» devono pagare se vogliono salva la vita (il pizzo però non li mette al riparo da altre forme di discriminazione e di persecuzione). Vengono inoltre imposti svariati pedaggi sulle arterie di collegamento tra Siria e Irak. Per estensione, si può considerare in questo ambito la gestione diretta di molti Internet point nelle aree occupate.
Traffici illeciti
L’applicazione della sharia, la legge coranica, nei territori occupati esclude automaticamente qualsiasi ipotesi di tolleranza verso gli stupefacenti, espressamente vietati dalla religione (ai guerriglieri sono però dispensate anfetamine). Tuttavia si ha notizia di un commercio di cannabis tra Siria, Kurdistan e Turchia gestito direttamente dall’Isis. Il procuratore capo di Reggio Calabria, a inizio 2015, aveva sospettato uno «scambio» commerciale con la ‘ndrangheta: eroina mediorientale a fronte di basi logistiche in Italia. Finora, però, tale ipotesi investigativa non si è concretizzata in nessuna operazione antiterrorismo. I traffici illegali di reperti archeologici rappresentano un’altra delle principali voci di entrata nei bilanci dello Stato islamico. Si vende sul mercato nero ciò che sopravvive alle distruzioni dimostrative dei siti patrimonio dell’umanità, rasi al suolo perché rappresentano divinità altre rispetto all’unico vero dio, Allah. Stime approssimative calcolano il giro di affari attorno ai 100 milioni di dollari.
Donazioni
Le donazioni rappresentano circa il 5% del giro d’affari dell’Isis e si aggirano all’incirca sui 50 milioni di dollari. I denari provengono dall’aristocrazia sunnita di Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Kuwait. David Cohen, vice-segretario Usa al Tesoro con la responsabilità dell’intelligence e la lotta al terrorismo, ha puntato il dito contro i Paesi del Golfo che, pur essendo alleati degli Usa, finanzierebbero i gruppi estremisti. Alla base di queste donazioni c’è la storica diatriba tra sunniti e sciiti e l’interesse dei finanziatori di contrastare qualsiasi potenziale alleato sciita di Teheran disseminato nella polveriera del Medio Oriente. L’Unione europea in generale e l’Italia in particolare non possono permettersi di sparare nel mucchio in quanto quei Paesi sono tra i principali partner della nostra economia, avendo investito somme molto rilevanti nelle aziende made in Italy.
Conclusioni
La lotta al terrorismo è diventata sempre più intelligence finanziaria. Una risorsa di conoscenze necessaria per vincere la guerra contro il terrore islamista visto che le infiltrazioni di agenti nelle cellule attive in Europa o tra i combattenti in Medio Oriente sono difficilissime e spesso si concludono senza esito significativi. Il contrabbando di petrolio, come detto, avviene quasi sempre dal lato turco del confine siriano. Sono le zone nelle quali l’Akp, il partito del presidente turco Erdogan, ha conquistato una maggioranza schiacciante. Sull’altro fronte è sempre più indispensabile la cooperazione con curdi e iracheni anche per monitorare i prezzi di vendita del petrolio. Le operazioni militari in Irak, infine, dovrebbero tendere a proteggere anche le risorse energetiche. Lo stesso vale per tutte le transazioni finanziarie verso l’Isis (a maggior ragione le donazioni): più si conosce circa gli interlocutori del califfato più sarà facile interrompere il flusso di denari che consente ad al-Baghdadi di mantenere nella zona un esercito regolare che conta tra i 40 e i 50mila effettivi (spinti ad arruolarsi dalle paghe che possono superare anche i mille dollari al mese, un megastipendio da quelle parti; ndr) e il cui mantenimento assorbe, secondo quanto si rileva, più della metà del fatturato dell’organizzazione. Senza l’aiuto di tutti sarà molto difficile vincere questa guerra.
Wall & Street