La putaine de la République
Il nostro 500simo post lo abbiamo voluto intitolare come il best-seller di Christine Deviers-Joncour, ex capo delle relazioni pubbliche di Elf-Aquitaine, che fu ingaggiata dalla società Csf Thomson per indurre il proprio amante, il ministro degli Esteri Roland Dumas, ad adoperarsi per accelerare la vendita a Taiwan di sei fregate. Un magistrato donna, Eva Joly, scoprì il sistema di commissioni occulte percepite da Christine che sarà successivamente condannata a 18 mesi di prigione. Nel suo libro ella racconta non solo le feste nella sua grande casa parigina nella quale ospitava la Francia che conta, ma anche tutte le sue relazioni pericolose con politici di primo piano che, a suo dire, l’avrebbero sfruttata proprio in virtù di quelle conoscenze da donna di pubbliche relazioni che alla politica facevano molto comodo. Di qui il titolo.
Ma quello di cui vogliamo parlarvi, alla vigilia di importanti passaggi nel nostro Paese, è ben altro. Ossia del fatto che anche nel nostro Paese esista una politica in grado di utilizzare bene i network di relazioni per garantirsi la sopravvivenza. Ecco, si tratta di quella politica che ha una concezione esclusivamente ancillare dell’economia e che si preoccupa unicamente del consenso. Quella politica che, in nome della soddisfazione dei cittadini, produce gravi danni alle finanze pubbliche e che, soprattutto, non risolve i problemi che si era incaricata di analizzare. Detto in una parola, Matteo Renzi. Dopodomani si voterà il referendum sui permessi di trivellazione sotto costa. A giugno ci sono le elezioni amministrative e in autunno arriverà il referendum sulla riforma della Costituzione portata avanti dal premier con la collaborazione del ministro Maria Elena Boschi. Ma come siamo arrivati fino a questo punto?
Questo bel grafico, che abbiamo rubato a un’edizione del Corriere della Sera di tre mesi orsono, mostra come al Senato (quello che sta per essere abolito) il governo Renzi nei suoi due anni di vita si sia poggiato su maggioranze variabili a seconda che si trattasse di riforme costituzionali o di materie economiche. Se si allargasse il discorso oltre il prezioso appoggio di sedicenti formazioni di centrodestra come Ncd di Angelino Alfano e Ala di Denis Verdini, Renzi abbia potuto contare sul silenzio-assenso di Forza Italia tramite Patto del Nazareno dal 2014 a inizio 2015. Alleanza messa in crisi dall’elezione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, avvenuta coi voti della sinistra radicale di Sel. Mentre per le nomine di giudici costituzionali e componenti del Csm si è arrivati addirittura a compromessi con il Movimento 5 Stelle. Insomma, anche se non si è in un lupanare, è sempre un bel mercato!
A fronte di tutto questo, di un premier che a ogni piè sospinto non fa che annunciare riforme, abbiamo assistito in questo periodo a un calo della produttività superiore a quello dei principali partner europei. Il motivo è molto semplice: l’economia, anche quando è ripartita come l’anno scorso, lo ha fatto con un passo troppo lento e le aziende per non procedere a ulteriori tagli della forza lavoro (che per le microimprese vuol dire chiudere i battenti), come hanno fatto durante la grande crisi, hanno accettato di far lavorare un po’ meno i propri dipendenti.
Questo grafico dell’Ocse, invece, sbugiarda la propaganda renziana sul taglio del cuneo fiscale sul lavoro. Altro che Jobs Act e decontribuzione. Nel 2015 il prelievo medio sul lavoratore – che include anche i contributi previdenziali e assistenziali – è salito fino al 49% dal 48,2% dell’anno precedente. Ci sono troppe tasse: magari non è proprio una novità, ma ripeterlo fa bene perché la propaganda può anche convincerci del contrario.
Questa, invece, è un’altra simulazione Ocse sulla riduzione del fenomeno dello skill mismatch, ovverosia la minore o maggiore qualificazione per lo svolgimento di una determinata mansione. Spiegato semplicemente, è la misura dei laureati che lavorano in un fast-food e dei periti che si trovano a svolgere il lavoro degli ingegneri (ove quella ricerca di professionalità non fosse colmata con un ingegnere estero). Se l’Italia riuscisse a creare i profili adeguati per le ricerche di personale delle proprie imprese, si avrebbe un salto enorme di quella produttività che, invece, langue. Anche su questo punto il governo Renzi ha fatto poco e niente. Certo, non sono problemi che si risolvono in due anni e due mesi. Però, abbiamo delle bellissime riforme costituzionali, un debito/Pil costantemente sopra il 132% e un Parlamento dove le maggioranze si trovano sempre. Come su Viale Zara dei bei tempi…
Wall & Street