«Al Pnrr serve l’outplacement»
Priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è far ripartire rapidamente il Paese puntando sulle aziende e sul loro capitale umano. In quest’ottica il 2021 dovrebbe essere l’anno del riconoscimento della validità dell’outplacement, ossia dei servizi di riqualificazione e la ricollocazione nel mercato del lavoro. Nel 2020 Intoo, società di outplacement di GiGroup, ha supportato oltre 1.000 persone tra dirigenti, quadri, impiegati e operai (per lo più sopra i 45 anni) che nell’85% dei casi hanno ritrovato un’occupazione in circa sei mesi e mezzo. Il 70% si è ricollocato come dipendente, la parte restante ha optato, invece, per l’avvio di un’attività autonoma come free lance o come micro-pmi.
«In un anno horribilis come il 2020, questi risultati sono stati possibili perché l’outplacement è un supporto personalizzato e intensivo con una metodologia consolidata: nel percorso di outplacement si parte dall’individuo e lo si porta verso il mercato», spiega Cetti Galante, ad di Intoo sottolineando che «tutte le persone a cui l’azienda concede l’outplacement nel pacchetto di uscita vengono affiancate da consulenti di carriera specializzati, con esperienza nel settore di provenienza della persona che seguono, formati in modo specialistico per accompagnare le persone a riattivarsi, acquisire piena consapevolezza delle proprie competenze che incontrano il mercato del lavoro e di quelle chiave che vanno sempre tenute aggiornate, a esercitarsi con simulazioni live sui colloqui di lavoro e trarre tutto il valore dall’uso dei social e del networking». Le persone vengono dunque supportate nell’individuare le opportunità dove possono essere competitive, a candidarsi nel modo più efficace, ad allargare costantemente la rete di contatti che porta a realizzare i loro obiettivi personali e professionali, coniugandoli con le esigenze del mercato.
La particolarità dell’outplacement, prosegue Galante, è che «non si tralascia nessuno dei candidati affidati, anche i più “deboli”, aiutando tutti a scoprire le proprie potenzialità e a colmare i propri eventuali gap di competenze per tornare a riproporsi sul mercato, purché corresponsabili nell’attivarsi da subito nella ricerca del lavoro, senza adagiarsi sugli ammortizzatori sociali e restando aperti a seguire le proprie attitudini anche in strade alternative, come la creazione di impresa, di cooperative, di start up o lavori da freelance, specialmente dopo i 50 anni». A riprova del fatto che l’outplacement funziona, le percentuali di successo non cambiano anche nei Paesi dove l’outplacement è obbligatorio: in Francia dove una sola società può supportare anche 40.000 persone l’anno il tasso di rientro nel mercato è comunque intorno al 75%.
Allora, perché non rafforzare anche in Italia questo servizio riconoscendone la validità e incentivandone l’utilizzo? Soprattutto in un periodo come questo. «È tempo di potenziare il sistema delle politiche attive, far partire da subito percorsi di riqualificazione finanziabili, rendere obbligatorio l’assegno di ricollocazione che dovrebbe scattare dal primo giorno di disoccupazione e incoraggiare l’adozione dell’outplacement, sgravando le imprese di una parte del costo, ricomprendendolo nei servizi finanziabili con i fondi interprofessionali, defiscalizzandone il costo o includendolo in una delle linee del Recovery Fund dedicate al capitolo lavoro», rimarca Galante ricordando che «sono queste, infatti, le proposte che Aiso, l’associazione che rappresenta le società specializzate in Italia, porta avanti in un costante dialogo col governo».
Con una maggiore diffusione dell’outplacement si alzerebbe il tasso di rientro nel mercato del lavoro grazie a due caratteristiche intrinseche: le società del settore sono specializzate a supportare target complessi per età avanzata o elevata seniority in azienda e sono specializzate nella riconversione delle persone dai settori più in crisi a quelli più dinamici o su nuove strade professionali, quali la creazione di impresa o l’avvio di una propria attività, soprattutto in territori con scarsa presenza di aziende. «Accelerare i tempi di rientro nel mercato del lavoro vuol dire risparmiare risorse pubbliche: se stimiamo 6 mesi medi di risparmio Naspi per persona arriviamo a quasi un miliardo di euro risparmiati per ogni 150.000 persone supportate», prosegue l’ad di Intoo osservando che «non si può rimandare oltre: bisogna mettere in campo in modo massivo tutti gli strumenti utili a riportare le persone nel mondo del lavoro, tenendo presente che lo scopo fondamentale del sistema pubblico deve essere quello di minimizzare i tempi di transizione da un lavoro all’altro, riducendo così la durata degli ammortizzatori passivi e facendo rientrare le persone più velocemente nel sistema contributivo». L’outplacement, infine, «abilitando la persona a trovare lavoro, favorisce la proattività personale, la responsabilizzazione sul proprio sviluppo professionale, la consapevolezza di sé e di cosa serve per mantenersi spendibili nel mercato del lavoro nel lungo periodo» conclude Galante evidenziando che la gestione ordinata delle uscite all’interno di un’azienda «protegge la costruzione di futuro, alimenta la social responsibility e preserva anche il clima interno».
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