Caro Direttore Mentana,

hai parzialmente ragione. Un attimo dopo il boato terrificante di una terra che si squarcia e divora per sempre storie personali e collettive e mentre c’è chi scava i morti o tenta di salvare creature di pochi anni, è da sciacalli intorpidire le acque. C’è da fare una sola cosa: rimboccarsi le maniche ognuno a proprio modo; con donazioni, andando in quei luoghi, mettendosi a disposizione della Caritas e di altre associazioni sempre attive sul territorio.

Però, come dicevo, hai parzialmente ragione. Conosciamo le manchevolezze del nostro Paese e delle istituzioni. Sappiamo cosa accade solitamente in ogni post-terremoto. E peraltro, chi scrive, ha vissuto sulla propria pelle quello del novembre 1980 che è stato il paradigma di ogni inadeguatezza.

Da allora siamo migliorati di molto e in molte cose. La Protezione Civile non è più quella e la rete di connessioni logistiche e sanitarie sul territorio si dimostra sempre più efficace ed ogni singolo apparato si mobilita in men che non si dica.

Ma la questione è un’altra. Te la prendi giustamente con chi in contemporanea alle macerie fumanti già mena fendenti e tira in ballo gli immigrati, gli hotel a loro disposizione, i pasti gratuiti e via dicendo. Certo, non è elegante e nemmeno è operazione utile. Tuttavia, la questione si porrà tra qualche giorno. Non lo neghiamo. Cosa si fa se non vi sono alloggi sufficienti? Non è la prima volta che dei terremotati sono obbligati a vivere sotto le tende per un numero imprecisato di settimane o in baracche per anni. Perché è così: non mi invento nulla!

Ecco, non è ancora il momento di dirle queste cose. Ma tra qualche giorno iniziamo a parlarne, tutti insieme e senza retorica spiccia da una parte e dell’altra. Lo Stato italiano non è la Caritas. La solidarietà è quel patto comunitario che ci lega senza vincoli di religione, cultura, etnia, eccetera, ed ognuno, per quanto è nelle proprie possibilità, può e deve aiutare chi è in difficoltà. Ma, in gravissimi momenti di crisi economica e quando non si vedono vie d’uscita ad essa, una comunità nazionale deve porsi delle priorità. E visto che questo è uno di quei momenti, iniziamo a ripensare all’accoglienza dei migranti in maniera più seria e realistica; ed iniziamo a pensare che migliaia e migliaia di italiani sono nelle loro medesime condizioni. Volgiamo lo sguardo verso i nostri connazionali, e poi verso gli altri. Entrambe le cose non siamo in grado di farle.

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