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11Ott 21
Greta Thunberg, opinioni di un boomer
Quello che segue è il punto di vista di un baby boomer sul fenomeno Greta Thunberg, mediato però dal confronto dialettico con mia figlia Petra, una generazione Z.
Se paragoniamo l’attivista svedese a una particella d’acqua, Greta e i suoi seguaci formano un grande fiume che procede inesorabile a favore di corrente. La tendenza di noi boomers, invece, è quella di navigare su un piano diverso e divergente rispetto al fiume Greta. E’ la prima volta che due generazioni (non) comunicano su dimensioni differenti, e dobbiamo fare i conti con questa condizione.
Prima di spiegare la metafora, è necessario fare un passo indietro. Chi sono i baby boomers? Noi del 1964 siamo stati il culmine di quella ondata di nascite. Alle elementari, nelle grandi città, eravamo troppi rispetto al numero delle aule, e in alcune scuole, a mesi alterni, le lezioni cominciavano alle due del pomeriggio e finivano alle sette di sera. Durante la nostra infanzia abbiamo beneficiato e sofferto di questa condizione: potevamo essere più o meno somari o diligenti, ma contavamo sempre e comunque meno di zero. Questa condizione da ultima ruota del carro è una dimensione sconosciuta per i molti figli unici della generazione Z, trattati da sempre come la prima ruota della carriola. Quella davanti, per intenderci.
Noi boomers eravamo talmente numerosi da sentirci interscambiabili, sostituibili, rimpiazzabili anche sentimentalmente. In autostrada talvolta viaggiavamo buttati alla “viva Napoli” sulla cappelliera dell’automobile, pronti a volare in avanti come frisbee alla prima frenata. Al mare godevamo di una libertà totale, ma in città d’inverno eravamo soldatini irregimentati e con un limitatissimo diritto di opinione. Siamo la generazione che ha collaudato l’uso del battipanni come mezzo di persuasione veloce, anche perchè eravamo cavallette ingestibili e scatenate. Per dare un’idea, l’ayatollah Khomeini in Iran pensò bene di risolvere la questione della nostra generazione di edonisti, mandandone a morire a centinaia di migliaia nella inutile guerra di frontiera contro l’Iraq.
Quando Greta ha cominciato a fare proseliti, i più equilibrati di noi hanno pensato che fosse solo un fuoco di paglia. Quelli meno tolleranti si sono abbandonati a commenti di pancia che facevano ridacchiare con benevolenza anche i boomers più equilibrati. Questa di pancia è la terza dimensione di cui accennavo prima. Quando discutiamo di Greta Thunberg in questi termini, noi boomers crediamo di navigare contro la corrente del fiume, ma con il vento in poppa, e ci illudiamo di raggiungere velocità prodigiose in contromano su quello stesso grande corso d’acqua. Subito dopo, però, scopriamo di essere su una dimensione completamente diversa: il piano Y divergente e non dialogante con l’asse della generazione Z. Quando parliamo di Greta con la pancia, le teste delle nuove generazioni si chiudono con il controbullone. Il dialogo finisce lì, e Greta diventa un totem intoccabile. Un tabù.
Per noi boomers, vedere una quindicenne (l’età che aveva Greta quando ha cominciato la sua battaglia) dettare la linea, è follia pura. La prima cosa che ci viene in mente sono i bambini cambogiani che rieducavano gli adulti ai tempi dei Khmer Rouge. Nessuno come Greta ci ha messi davanti alla necessità di separare il nostro istintivo sarcasmo viscerale dai più posati ragionamenti di testa. I rapporti con la generazione dei nostri genitori, per quanto conflittuali, erano comunque sullo stesso asse cartesiano: quando loro ci inseguivano sull’asse X con il battipanni, noi scappavamo a gambe levate sull’asse Y, ma sempre sullo stesso piano. Ora con Greta non è più così.
Il 9 Ottobre, Angelo Panebianco ha forse scritto a nome di tutti i baby boomers sulle pagine del Corriere della Sera:
«Avevamo pensato in tanti che {Greta} fosse solo un fuoco di paglia».
Io continuo a pensarlo: fuoco di paglia e aghi di pino. Il fatto è ci sono tanti, tantissimi aghi di pino e piazze intere piene di paglia. Panebianco ipotizza che, nella nostra età post religiosa, le società occidentali abbiano bisogno di profeti e profezie. Continua Panebianco:
«In età religiosa la profezia irrompe nella storia di un gruppo umano quando le vecchie credenze sono ormai esauste, quando i suoi officianti hanno perso credibilità e autorevolezza».
Il fatto è che anche quella di Greta è una religione, con Madre Terra come punto focale. Per secoli le religioni ci hanno consolato e irregimentato con il bastone e la carota della salvezza dell’anima. Oggi che quest’ultima sta forse perdendo centralità, è la sopravvivenza del pianeta la nuova religione, con Greta nei panni del nuovo messia. La forza di Greta si appoggia sullo stesso equivoco religioso: i suoi anatemi infondono quello stesso timore reverenziale che suscitavano gli anatemi dei primi cristiani con gli occhi spiritati. Questo accade perchè anche l’ambientalista più scettico NON è in grado di rassicurare sullo stato di salute del pianeta.
Se le differenze fossero solo ideologiche, come quelle che hanno contraddistinto il secolo scorso, un fanatico convinto di una particolare ideologia troverebbe un muro altrettanto rigido di chi è convinto della ideologia contraria. Con l’argomento ambientalista, invece, l’ideologia opposta non esiste, a meno che qualche pazzo possa fregarsene del futuro della Terra. Ci sono quelli che non ritengono che il pianeta sia in pericolo, ma il loro punto di vista, per quanto legittimo, è inevitabilmente più debole della visione apocalittica di chi è convinto che la fine del mondo sia vicina.
A me questo fuoco di paglia e aghi di pino pare molto pericoloso, perchè è come un «Al lupo! Al lupo!» gridato da chi non ha le competenze per farlo. Fidandosi acriticamente di un fenomeno mediatico come Greta, la generazione Z rischia di trovarsi assuefatta, disillusa, tradita e apatica quando (e se) il paradigma Greta salterà. Una generazione che si lascia trasportare dalla corrente del fiume senza opporre la minima resistenza, potrebbe non essere in grado, quando sarà ora, di abbandonare il metodo messianico per adottare quello scientifico, e occuparsi in modo pragmatico delle condizioni di salute della nostra amata Terra.
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