Le sanzioni contro la Russia adottate dalle democrazie occidentali, compreso il congelamento delle riserve in dollari della banca centrale russa, sono senza precedenti. L’intento è quello di svuotare le casse dell’aggressore, e inceppare in tempi rapidi la macchina della guerra. Nella drammaticità della situazione, è comunque interessante constatare che nessuno ha la più pallida idea se possa funzionare.

Come fa notare Robin Hardin (Financial Times, 11 Marzo) nella guerra di Crimea dal 1854 al 1856, perirono centinaia di migliaia di persone, eppure durante il conflitto, il flusso di denaro tra Impero Britannico e Impero Russo non fu mai interrotto. L’aggressione all’Ucraina del 2022 ha fatto saltare il modello “business as usual”, perchè l’Occidente vuole imporre l’idea che guerre di annessione territoriale sono fuori dal nostro tempo.

Non è un sistema indolore, specialmente nei confronti di persone e popolazioni più deboli, che comunque nessuna guerra ha mai risparmiato. Ma sembra anche la prima mutualizzazione globale del peacekeeping (un esperto mi smentirà): non paga più solo chi lo implementa, ma tutti quanti. Per inceppare gli ingranaggi della guerra, anche l’economia mondiale, particolarmente quella europea, è a forte rischio di grippaggio.

Potrebbe essere il primo e ultimo esperimento di questa portata: da diversi anni, infatti, è in atto lo smarcamento da parte della Cina che, crisi dopo crisi, aggiunge un nuovo mattoncino alla creazione del proprio circuito finanziario svincolato da Stati Uniti e Occidente. Si va verso a un sistema bipolare, dollaro renminbi (ma diversi analisti ritengono più probabile un sistema multipolare), e in futuro sarà meno probabile che un Paese-canaglia si trovi fuori dalla copertura di entrambe le superpotenze.

Ma la domanda è: se le riserve in dollari delle banche centrali di ogni Paese possono essere congelate in ogni momento, chi vorrà detenere ancora la valuta dello zio Sam? Il fatto è che rendere il renminbi valuta di riferimento NON è un processo scontato, perchè la Cina, per evitare destabilizzanti fughe di capitali, vuole mantenere il controllo del proprio sistema finanziario. Come fa notare Rana Foroohar (Financial Times, 28 Febbraio), il modello americano ha avuto successo negli ultimi ottant’anni esattamente per il motivo contrario: l’apertura e la liquidità del suo sistema. In caso di necessità, qualsiasi Paese che detiene dollari sa che può attingere a quella riserva per superare la crisi. Per calamità naturali continuerà ad essere così, ma in caso di guerra non è più scontato.

Ad ogni crisi tra Occidente e Russia, lo smarcamento della Cina compie grossi balzi in avanti. Il processo di decoupling, disaccoppiamento, tra Occidente e Russia, era iniziato dopo l’annessione della Crimea nel 2014, quando le banche occidentali ridussero dell’80% la loro esposizione nelle istituzioni finanziarie di Mosca. L’8 Ottobre 2015, venti mesi dopo l’annessione della Crimea, la Cina creò il Cips, un circuito alternativo al sistema di pagamenti Swift, dal quale la Russia è stata parzialmente esclusa dopo l’aggressione del 24 Febbraio. In pratica, il decoupling dall’Occidente ha spinto la Russia nell’orbita Xi Jinping. Già dal 2019, Russia e Cina regolano i loro commerci in renminbi e rubli, non in dollari, ma per ora la quota della moneta cinese nel paniere di valuta di riserva è del 2%, contro il 60% del dollaro, quindi le differenze sono ancora abissali.

Tra le tante incognite e stravolgimenti di questa guerra, si aggiunge la probabile stagflazione (inflazione + recessione) a cui andiamo incontro. Per fronteggiare questa congiuntura da anni Settanta del secolo scorso, le banche centrali hanno le mani legate, dopo anni di allegra politica monetaria. Si sta puntualmente presentando una situazione delicata già discussa in un precedente articolo (qui). In settimana la Federal Reserve annuncerà probabilmente il primo rialzo del tassi dal 2018. Con l’inflazione americana all’8%, la Fed (e a ruota tutte le principali banche mondiali) dovrà camminare sul filo tra la necessità di contenere l’inflazione e il tentativo di non sprofondare in recessione.

Negli anni, l’arte di camminare sul filo si è affinata a livelli inimmaginabili: dall’attraversamento delle cascate del Niagara nel 1859, al filo teso tra le due torri gemelle di NY nel 1974. Nel 2021 addirittura tra due mongolfiere a 1500 metri d’altezza. Ecco: quest’ultimo esempio è particolarmente calzante, visto che, mentre cammina sul filo, in equilibrio tra inflazione e recessione, la Federal Reserve dovrà sgonfiare poco a poco, senza farla esplodere, la bolla finanziaria innescata dall’oceanica liquidità immessa nel sistema nell’ultimo decennio.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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