«Un giornale, il giorno dopo, è buono solo per incartare il pesce» diceva Indro Montanelli molto prima che iniziasse l’era digitale. Da anni non è più così. Le parole in rete restano, vincolate da un contratto a tempo indeterminato con la realtà.

Con la guerra alle porte, saltano uno dopo l’altro i parametri che fino a poco fa sembravano veri. Erano veri. Le parole usate per un articolo sulla guerra appaiono inappropriate a distanza di ore. Troppo fredde, asettiche, scollegate.

Le parole, quando sono sconnesse dalla realtà, diventano viti spanate che stringono, stringono, ma poi si aprono agli antipodi, e mollano la presa. Perdono la loro funzione. Ora è il momento dell’empatia, e degli aiuti di qualsiasi genere al popolo ucraino determinato a difendersi da un pazzo scatenato che vuole imporre la fratellanza con le bombe a grappolo.

Prima, qualsiasi disadattato su internet cadeva sotto una categoria unica: leone da tastiera. Colui che nella vita di tutti i giorni non riusciva a liberare il suo “io” leonino chiuso in gabbia, davanti a una protesi tecnologica menava duro sui tasti. Insultava. Esprimeva pensieri apocalittici, con poca attinenza alla realtà. Da oggi esiste una nuova sconnessione dalla realtà, con una nuova unità di misura: i Metternich da tastiera.

Fino a ieri restare freddi, in rete, era un pregio, e non esisteva un’espressione ironica per descrivere persone troppo cerebrali sui social networks. L’etichetta esigeva che l’homo digitalis, digito ergo sum, dovesse avere una frontiera con controllo passaporti tra cervello, cuore e budella. Ora siamo entrati nell’era degli organi senza frontiere, obbligati dalle circostanze a produrre parole in sintonia con la follia che ci sta venendo incontro come una nube tossica.

Le nostre pupille da qualche giorno restano dilatate anche in piena luce come al buio. Sembra la molecola dell’atropina, ma è solo paura.

 

P.S. Naturalmente non vuole essere un dogma, e spero che voi mi smentiate.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
Tag: