Sui media è cominciata la fase del nero o del bianco, Tinte unite. Bipolari. Non sono ammesse gradazioni intermedie. Se riferito al presente, trovo che sia giusto così: Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina e ora è il nemico. Punto.

Ma la cultura del bianco o nero è come la cancel culture: è retroattiva. Si estende anche nel passato, e come una nube chimica in balia del vento, brucia tutto quello che incontra, rendendo indistinguibile il passato dal futuro. Le cause di quello che accade in Ucraina non importano più.

Poco prima del mio ultimo articolo discutevo con un’amica di come la Nato negli ultimi mesi NON avesse salvaguardato gli interessi europei, e neppure quelli della stessa Ucraina. Credevo fossimo più o meno d’accordo, ma quando ha letto la mia critica nero su bianco, mi ha richiamato per chiedermi se ero scemo. Con i primi venti di guerra, la Nato è tornata ad essere la nostra coperta di Linus, e sono bastate poche ore per calarla nel bunker-anti-critica, pena essere considerati figli di Putin. E’ legittimo però chiedersi se la Nato permetterà mai la formazione di un esercito europeo, perchè ormai è di questo che stiamo parlando.

Un altro fenomeno che trovo discutibile è andare a recuperare le opinioni espresse in passato sul satrapo russo. Io di Pierino ho sempre parlato bene, ma un giorno lui decide di ficcarmi un dito nell’occhio. Divento incoerente se comincio a parlarne male? Qualcuno può rispondermi: gli elementi per giudicare Putin c’erano già tutti.

1. La sua brutalità nella guerra in Cecenia. Risposta: era una guerra per ristabilire l’ordine nel caos dell’ex Unione Sovietica, con centrali nucleari, scorie radioattive, e arsenali in balia di staterelli improvvisati e gruppi terroristici. L’ex sfera Urss in disordine è un problema molto più serio del satrapo che rimette le cose in ordine.
2. L’omicidio della coraggiosa giornalista Anna Politkovskaja il 7 Ottobre 2006. Risposta: in quel periodo Putin era ancora il nemico assoluto per molti di noi. Ricordo esattamente dov’ero quando appresi la notizia, quindi so che mi aveva profondamente colpito. Ma ricordo anche di aver pensato: «Uccisa nel giorno del compleanno di Putin: figurati se è stato lui a dare l’ordine. Il sistema di potere in Russia è molto più complesso di così. Sarà stato il KGB, o chi per esso, a fargli un odioso regalo».
3. Avvelenamenti vari di dissidenti in giro per il mondo. Vedi sopra.
4. Intervento in Georgia nel 2008. Risposta: giustificabile con il proselitismo della Nato su Mikheil Saakashvili, presidente georgiano, che si era messo in testa di fare l’americano in un’area geografica incompatibile con quel ruolo.
5. Annessione della Crimea nel 2014. Ecco una giustificazione un po’ troppo semplice, ma sintetica, di un mio ex collega di lavoro russo, quindi immaginate l’accento di Ivan Drago: «Crimea è regalo di Krushev a Ucraina, fidanzata di Russia. Quando amore finisce, fidanzata restituisce anello (Crimea)».

E poi una cosa di cui si discute solo a bassa voce: non è stato Vladimir a sconfiggere l’Isis in Siria? Ora “Putin è pronto per la teca in cristallo di Boemia, stile Lenin. Trasparente. Visione gratuita per tutti” (copyright Tzilighelta). Non vorrei però che in seguito sui libri di storia si scrivesse che la fine dell’Isis è stata merito dei droni di Barack Obama.

Ora non è più tempo per considerazioni sul passato. A rovistare tra le macerie saranno in futuro gli storici, che come restauratori pazienti ricomporranno la verità, anche in base a chi nel frattempo avrà vinto. Recentemente un giornalista sportivo ha pubblicato un libro con articoli su partite di calcio mai pubblicati, perchè negli ultimi minuti una delle due squadre ha ribaltato il risultato che sembrava consolidato. Nel giro di due minuti e tre gol, tanti “quattro” in pagella si sono trasformati in altrettanti “otto”, e viceversa. Non so se sia giusto o sbagliato, ma è così.

Siamo entrati in periodo di bianco o nero, senza sfumature intermedie. O entri o esci, questa casa non è l’albergo. Da blogger, la situazione mi ricorda il saloon in un film western, con bande rivali che regolano i loro conti a suon di pallottole. Se questo è il contesto, desidero lanciare un appello: please don’t shoot me, i’m only the piano player.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
Tag: , ,