Se in un futuro distopico il “sentire comune” includesse il gatto nella categoria dei re della foresta, da un giorno all’altro i media impazzirebbero con una notizia sconvolgente: “LE CASE ITALIANE SONO INFESTATE DAI LEONI”. La domanda è: prenderemmo quella notizia sul serio? Basta l’uso di un termine dal senso completamente stravolto per rievocare il terrore del suo antico significato? Dal modo in cui l’etica contemporanea ha espanso il significato della parola “stupro”, pare proprio di si.

Ricapitoliamo. Una donna può decidere di divertirsi, ubriacarsi, drogarsi, concedersi intimamente, addormentarsi, svegliarsi intontita, pentirsi, e dopo qualche settimana denunciare di aver subito uno stupro. Sui giornali la notizia esce con grande risalto, magari accompagnata da inquietanti percentuali che dimostrano un’esplosione di casi di violenza sessuale nei confronti delle donne. Ma se analizziamo questo fenomeno con il metro di pochi anni fa, non è il numero degli stupri a essere aumentato. E’ il significato della parola che ha subito un’espansione distopica, simile all’inclusione del nostro tenero micio nella categoria dei leoni.

L’avvocato Giulia Bongiorno non ha avuto dubbi in una circostanza simile (intervista a Repubblica, Gennaio 2021): «L’alterazione dello stato psicofisico, causata ad esempio dalla assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti, incide sulla libertà di autodeterminazione, viziando il consenso al rapporto sessuale. E questo vale anche se la vittima ha volontariamente assunto alcool e droghe. Il rapporto sessuale deve sempre fondare su un consenso validamente espresso. Quindi, deve essere frutto di libera autodeterminazione».

Se è così, allora la senatrice Bongiorno deve sapere che praticamente tutti i suoi elettori cresciuti tra gli anni sessanta e gli anni novanta sono stupratori seriali. Compreso me che non l’ho votata. In periodi di caccia alle streghe, i confini di cosa è considerato “male” si espandono come un tumore in ambiti che normalmente sono ritenuti perfettamente accettabili.

«Penitenziagite!»* biascicava il dolciniano nel Nome della Rosa, il romanzo di Umberto Eco ambientato nel quattordicesimo secolo (qui). Se vivesse ai nostri giorni, il frate eretico probabilmente rivolgerebbe il suo monito all’uomo eterosessuale (meglio se bianco), la nuova strega quasi perfetta da abbruggiare su pubblica piazza in questo primo squarcio di millennio.

 

*Dal latino «Poenitentiam àgite!» … «Fate penitenza!»

Tag: ,