Perché, si chiede Henry Mance sul Financial Times del 15 Novembre, è così difficile essere direttore generale della BBC?

La domanda nasce dalle dimissioni il 9 Novembre del direttore generale e dell’amministratrice delegata dell’emittente pubblica britannica, travolti dal caso di un video manipolato di un discorso di Donald Trump del 6 Gennaio 2021, giorno dell’assalto al Campidoglio (qui).

La BBC, scrive Mance, è ormai “too big NOT to fail”: troppo grande per non inciampare. Un rovesciamento ironico del celebre Too Big to Fail, dedicato alle banche nella crisi del 2008: istituzioni talmente colossali da dover essere salvate con soldi pubblici per evitare il meltdown finanziario. La BBC è talmente vasta e globale da rendere quasi impossibile un controllo capillare dei contenuti.

Il punto, dice Mance, non sono gli incidenti in sé, ma la lentezza nel rimediare. È accaduto nel 2024, con il caso Trump, ma anni prima ci fu un precedente ancora più drammatico.

Nel 2003 un reporter della BBC rivelò che Tony Blair aveva “sexed up”, abbellito e manipolato l’intelligence sulle (inesistenti) armi di distruzioni di massa in Iraq. Il governo reagì con furia. Lo scienziato David Kelly, fonte del giornalista, subì pressioni enormi e si suicidò. Il direttore generale fu costretto alle dimissioni, ma anni dopo fece notare che, al di là degli errori commessi, non era stata la BBC a ingannare il Paese, ma Tony Blair. Come dargli torto?

Mance affronta anche il nodo dell’imparzialità. Nella BBC convivono due scuole:

1. il bilanciamento, ossia dare voce proporzionale alle forze politiche.
2. il giudizio indipendente, cioè una valutazione autonoma dei fatti.

La prima produce talvolta solo una sequenza di posizioni senza sintesi; la seconda è come camminare su un filo a venti metri d’altezza, esposti ai venti contrari di ogni schieramento.

La scivolosità del concetto di imparzialità emerge in un memo filtrato alla stampa: un ex consulente degli standard editoriali si è detto “sconcertato” dal fatto che un documentario su Trump, trasmesso poco prima delle elezioni, non fosse stato bilanciato da uno su Kamala Harris. Come se i due personaggi avessero controversie comparabili. Come se l’imparzialità imponesse simmetria anche quando la realtà non lo è.

Una mia nota personale.

Nel pezzo di Mance io vedo due eroi. Il primo è David Kelly, morto suicida il 17 Luglio 2003, in seguito alle pressioni di un governo in malafede. Il secondo è Andrew Gilligan, il giornalista che ebbe il coraggio di denunciare la manipolazione delle prove contro Saddam Hussein. Se la sua voce fosse stata ascoltata, forse la guerra si sarebbe chiusa prima, risparmiando l’orrendo sacrificio di centinaia di migliaia di innocenti.

Da un lato abbiamo un reporter che nell’articolo non viene nemmeno nominato, liquidato come loose cannon, un cane sciolto. Dall’altro Tony Blair, più che mai sulla cresta dell’onda nel 2025: oggi l’ex primo ministro ammette che le guerre in Afghanistan e in Iraq fossero sbagliate, salvo poi precisare che una volta fatte, «avremmo dovuto restare sulla stessa linea. Per questo ero contrario al ritiro dall’Afghanistan nel 2020» (qui).

Su argomenti scivolosi come imparzialità, verità, diritto internazionale e umanità, c’è qualcosa da ricalibrare in Occidente.

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