Il Governo, Trump, lo scontro con l’Europa: capire la geopolitica giallo-verde
“L’attuale governo in Italia è la quintessenza della democrazia in azione. Al di là di come ognuno di noi la pensi le ultime elezioni in Italia hanno dimostrato che il popolo ha parlato. Questa è la democrazia”. Lo ha detto, partecipando a un forum all’Ansa, l’ambasciatore americano a Roma, Lewis Michael Eisenberg. Dichiarazioni non casuali, in un momento in cui alta è la tensione tra l’Unione Europea e il Governo Conte per la prossima manovra finanziaria, che prevede un 2,4% di rapporto deficit/PIL, contro lo 0,9% promesso dal precedente esecutivo. E così, tra le rivendicazioni italiane e le preoccupazioni di Bruxelles, si inseriscono ancora una volta gli Stati Uniti. Questo aiuta probabilmente a capire, una volta di più, in quale direzione stia realmente andando la politica estera della maggioranza giallo-verde. Una politica estera che, tra manifestazioni (per ora solo verbali, dato che nei fatti non si è battuto ciglio neppure sul famoso rinnovo delle sanzioni) di vicinanza alla Russia di Putin e di interesse per la Nuova Via della Seta cinese, all’atto pratico è invece saldamente collocata nella partenariato transatlantico, generando molta confusione tra gli osservatori meno avvezzi a masticare le dinamiche internazionali.
Per capirne qualcosa di più è forse utile la lettura dell’ultimo numero di “Eurasia – Rivista di studi geopolitici“, in uscita proprio oggi. Il titolo di questo cinquantaduesimo quaderno della prestigiosa rivista delle Edizioni all’insegna del Veltro è infatti proprio “La geopolitica giallo-verde“. All’interno, attraverso gli articoli di autori differenti (tra cui anche chi qui vi scrive), si analizzano potenzialità, orizzonti e posizionamento del Governo Conte all’interno del panorama mondiale. Dal ruolo dell’esecutivo nella strategia “trumpiana” di contenimento dell’integrazione continentale e (soprattutto) dell’egemonia tedesca, alla necessità dell’Italia di ottenere da Washington maggiori deleghe su importanti questioni che attengono alla sfera del Mediterraneo, passando per i cedimenti italiani alle richieste statunitensi, in perfetta continuità con i precedenti governi di centrosinistra, sul fronte dei rapporti con Mosca e l’Iran e dell’approvvigionamento energetico. A proposito di energia è utile anche comprendere le finalità strategiche e per certi aspetti alternative dei gasdotti TAP (per il quale Conte ha preso impegni espliciti con Donald Trump durante il suo viaggio negli states) e IGI Poseidon, dei quali troppo poco si discute nel dibattito pubblico ma che invece hanno una rilevanza fondamentale per il futuro del bel Paese. Ma, all’interno della rivista, è affrontato anche il ruolo della cosiddetta “internazionale sovranista” guidata (contro l’UE e, soprattutto, contro Angela Merkel) da Steve Bannon, l’ex chief strategist della Casa Bianca, ossessionato da un’enigmatica visione sui destini della cività “giudaico-cristiana”, parzialmente convergente con la strategia ad oggi rivelata dallo stesso Trump. Un personaggio, Bannon, la cui costante presenza in suolo italiano è stata criticata anche in maniera piuttosto veemente da personalità diversissime per ruolo e tradizione culturale. Tra questi Alessandro Sallusti, Antonio Tajani, Paolo Becchi e Pietrangelo Buttafuoco, solo per citare i principali. Preoccupazioni più che legittime, quando un soggetto comparso dal nulla e proveniente da un altro continente si interessa improvvisamente del futuro dell’Europa, godendo di un palcoscenico mediatico tutt’altro che irrilevante.
“In un mondo che come l’attuale è dominato da due tendenze contrapposte – scrive nel suo editoriale il professor Claudio Mutti, direttore di Eurasia – quella perseguita dagli Stati Uniti, favorevoli alla frammentazione dei grandi spazi, e quella che invece mira alle integrazioni continentali – un piccolo Stato nazionale è dunque condannato a svolgere un ruolo subalterno, se non trova il modo di integrarsi in una più ampia unità territoriale. Perciò non è un caso che a favorire l’illusione sovranista siano gli strateghi dell’imperialismo statunitense, i quali hanno individuato nel sovranismo, variante aggiornata del piccolo nazionalismo, uno strumento ideologico idoneo a destabilizzare ulteriormente l’Europa e ad allontanare da essa qualunque prospettiva di unità, perfino quella che è rappresentata dalla miserabile costruzione denominata Unione Europea“.
Insomma, se la lotta all’attuale costruzione comunitaria, anch’essa (non bisogna dimenticarlo) nata a suo tempo come strumento dell’egemonia atlantica, orrendamente quantitativa, imbelle, devota al culto ordoliberista dell’austerità, rispondente alle esigenze dello short-termism finanziario e mancante di qualsiasi unità culturale e spirituale è per molti aspetti giusta e condivisibile, bisogna stare altresì attenti a far sì che questa non divenga il cavallo di Troia per i desiderata di attori terzi e per nulla disinteressati. L’unità dell’Europa continentale va riformata e forse rifondata e rilanciata su nuove basi, che guardino a una “più grande Europa” dei popoli, che sappia divenire un reale polo geopolitico e non cancellata in nome di un nazionalismo anacronistico. Difficile, certamente. Ma, forse, anche l’unica via verso un’autentica sovranità.