L’esercito europeo? Serve. Nonostante e oltre Macron
Contestato in Patria, dove la sua popolarità è ormai ai minimi storici, il presidente francese Emmanuel Macron ha trovato ascolto a Berlino, dove ieri, invitato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, ha partecipato alle commemorazioni del centenario della fine della Prima guerra mondiale e ha avuto l’occasione di potersi rivolgere al parlamento tedesco.
Così, sfruttando il palcoscenico, ha provato a rilanciare un’idea di riforma della costruzione comunitaria, tirando il ballo nuovamente il “sovranismo europeo“, già citato da Jean Claude Juncker in occasione del recente discorso sullo stato dell’Unione. L’inquilino dell’Eliseo, ha puntato, nel suo intervento e nell’incontro con gli esponenti dell’esecutivo tedesco, su pochi ma importanti temi: la costruzione di una difesa comune (ormai un chiodo fisso dei suoi discorsi, dopo che a settembre 2017 ha lanciato autonomamente l’Iniziativa europea di intervento, cui al momento hanno aderito solo dieci Paesi), un sistema di gestione dei flussi migratori condiviso e, infine, un bilancio unico per l’Eurozona. La novità è che, meglio tardi che mai, anche la Merkel avrebbe appoggiato quest’ultima proposta avanzata dal collega transalpino. Lo sostiene Walter Rauhe, dalle colonne de La Stampa. Comunque sia a dicembre i due dovrebbero presentare un comune progetto di riforma dell’UE.
E’ singolare il quadretto di Macron e Merkel, due leader politicamente al capolinea in termini di consenso personale, che si abbracciano per resistere all'”assalto” dei sovranisti (o anche, più semplicemente, dei propri ex elettori…) e di chi, Trump in testa, li vedrebbe con grande favore relegati ai margini della scena internazionale. Eppure, nonostante la situazione contingente e la scarsa credibilità attuale dei proponenti e nonostante né Francia (soprattutto da Sarkozy in poi) né Germania abbiano brillato in tempi recenti in termini di “sovranismo europeo”, se con questo si considera la volontà di rendere finalmente l’Europa unita un soggetto geopolitico, basti ricordare l’appoggio praticamente incondizionato dato al punto di vista statunitense nei conflitti in Libia e Siria da parte francese e in Ucraina da parte tedesca, le idee appaiono di buon senso. Soprattutto l’ipotesi di una forza militare comune, determinante per la sopravvivenza dell’Europa in chiave futura e di cui troppo poco si parla. Perché, come più volte ribadito su queste colonne, il reale e principale deficit di sovranità dei Paesi europei è rappresentato dall’impossibilità di impostare una politica estera indipendente dalle volontà degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e del loro braccio armato, la NATO. Ma, d’altro canto, a decidere in tal senso sono stati i due conflitti mondiali, con cui di fatto l’Europa continentale si è suicidata, rinunciando a ogni prospettiva geopolitica di lungo termine e inginocchiandosi definitivamente alle nazioni anglosassoni.
Peccato che, “sponsorizzate” dalla fazione che quasi certamente uscirà perdente dalle consultazioni europee (almeno stando ad osservare l’attuale trend), queste ipotesi siano destinate ad accogliere più fischi che applausi in quei Paesi che, dalla sala di controllo che ha partorito questo disegno, sono stati erroneamente esclusi in partenza. Cioè, in maniera peculiare, l’Italia, con la quale è in corso il braccio di ferro sulla manovra finanziaria disegnata dal Governo Conte. Pensare, ad esempio, di impostare un discorso di difesa comune lasciando fuori dalla “stanza dei bottoni” quello che, di fatto, è il Paese che rappresenta il secondo esercito del continente è come minimo una scelta poco lungimirante. Tuttavia poco lungimirante sarebbe anche, per l’Italia e per il suo attuale esecutivo, lasciarsi sfuggire l’opportunità di incidere su una simile prospettiva per questioni aprioristiche di incompatibilità politica tra i rispettivi e attuali (e quindi temporanei) governanti e di consenso immediato. Perché, dove oggi ci sono Macron e Merkel, non è detto che domani non ci sia, chissà, una Le Pen, con cui il dialogo potrebbe risultare più semplice.
Tuttavia, se la necessità di una difesa comune è senza dubbio questione fondamentale, vi sono parimenti alcuni importanti interrogativi. Viene, ad esempio, da chiedersi perché Macron, invece di ripartire dalla PESCO (cioè il progetto partorito direttamente da Bruxelles a cui hanno ad oggi aderito 25 nazioni), spinga soprattutto per la sua iniziativa autonoma, che vede tra i partecipanti quella Gran Bretagna che è ormai con un piede fuori dall’UE e con cui la Francia ha già da condividere molte colpe per il comune approccio neo-coloniale ai recenti conflitti in Medio Oriente (non a caso nelle recenti situazioni di recrudescenza del conflitto siriano sono stati i primi Paesi a minacciare ritorsioni militari, insieme a Washington). Altra stranezza è che, mentre sulla PESCO o comunque su una qualsiasi ipotesi di difesa europea diverse sono state le (ovvie) riserve da parte statunitense (Donald Trump ha di recente invitato senza troppi complimenti, tramite Twitter, i leader del vecchio continente a spendere di più per la NATO piuttosto che a pensare a un esercito comune…), sull’iniziativa francese, i toni degli alleati d’oltre Atlantico sono stati differenti. “Non c’è ragione per cui tale iniziativa non debba essere compatibile con la NATO.(…)Potrebbe fornire capacità in più nei casi in cui la NATO non trova appropriato intervenire”, ha, ad esempio, detto al riguardo Ian Lesser, vice presidente per la Politica estera del German Marshall Fund of the United States. E questo breve passaggio vale forse più di mille parole. Parlando fuori dai denti, se l’Europa ha bisogno di un esercito comune non è certo per favorire nuovamente gli interessi di americani e inglesi, magari in cambio del “contentino coloniale” anche per Parigi. L’esercito europeo serve sì, ma se è per servire tutti gli europei.