“Come abbiamo fatto a ritrovarci in ginocchio, indifesi, impauriti, a piangere i nostri cari che morivano, soli, nelle terapie intensive congestionate degli ospedali?“. Già, come abbiamo fatto? Esattamente questa è la domanda che si pongono Andrea Indini, giornalista e saggista, nonché responsabile de IlGiornale.it, e Giuseppe De Lorenzo, già autore del saggio “Arcipelago ONG” nel 2017, nella loro ultima fatica, “Il libro nero del Coronavirus. Retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l’Italia“, edito da Historica – Giubilei Regnani. Il saggio si prefigge proprio lo scopo di indagare tutto quello che, in Italia, è andato storto nella fase più grave della pandemia, quella degli scorsi mesi di febbraio, marzo e aprile, quando le terapie intensive degli ospedali risultavano al collasso e quando i decessi si contavano a centinaia giornalmente.

Gli italiani, ancora oggi, non riescono a darsi pace di quanto accaduto, in quelle settimane difficili. Si torna, allora, alla domanda fondamentale: cosa non ha funzionato?

“Purtroppo – spiega Andrea Indini – trovare una sola causa è impossibile. Sono una caterva. A partire dal governo cinese, che ha a lungo taciuto la gravità dei casi affetti da polmonite atipiche, e dall’OMS, che ha dissimulato la pericolosità di un virus del tutto sconosciuto. E poi ci sono gli egoismi degli Stati europei che hanno requisito i respiratori anziché condividerli con l’Italia quando si trovava in ginocchio. Fino ad arrivare al nostro governo: per quanto la pandemia sia un evento del tutto imprevedibile, l’impreparazione è stata la cifra distintiva dei giallorossi.

Secondo un’indagine dell’ISTAT di maggio 2020, le province più colpite dall’epidemia hanno pagato un tributo, in termine di vite umane, che è risultato particolarmente incisivo in alcuni territori. In particolare, rispetto al marzo 2015-2019, nel mese di marzo 2020 i maggiori incrementi percentuali dei decessi si sono riscontrati nelle province di Bergamo, Cremona, Lodi, Brescia, Piacenza, Parma, Lecco, Pavia e Mantova. La Lombardia, in generale, è risultata la regione più colpita. Ci sono regioni che hanno agito meglio e altre che si sono fatte trovare meno preparate?

“Nessuno al mondo – prosegue Indini –  scorderà l’immagine dei camion dell’esercito incolonnati per le vie di Bergamo mentre portano le salme che traboccano dagli obitori della città. Sono molteplici le ipotesi messe sul tavolo per spiegare perché il virus si sia accanito maggiormente in Lombardia. In Val Seriana, per esempio, è stato isolato un ceppo molto più virulento e contagioso. C’è poi da tener conto della densità del territorio che ne ha sicuramente favorito la diffusione. E va tenuto conto anche dell’età media. Insomma, non è giusto dire che la Lombardia ha avuto più morti di altre regioni perché meno preparata. Di sicuro è stata lasciata da sola dal governo: non solo Conte non si è mai fatto vedere, ma si arrogato tutti i poteri mettendo più volte il Pirellone in difficoltà. L’apice di questo scontro è stato il braccio di ferro sull’istituzione di nuove zone rosse.”

In questi giorni sembra che si stia tornando indietro con le lancette e, dopo un’estate relativamente (e forse prevedibilmente, dato che i virus influenzali seguono regolarmente questo andamento) tranquilla si inizia a parlare di nuove misure restrittive.

“È vero – prosegue l’autore del saggio – che i numeri stanno tornando a crescere ma è anche vero che non possono essere paragonati a quelli registrati a inizio anno. Ci vuole prudenza, per carità, ma ora abbiamo imparato ad aggredire il virus e la mortalità sta calando anche nelle fasce più deboli. Il governo è subito partito in quarta imponendo la mascherina anche all’esterno. Una misura che molti virologi hanno criticato aspramente. Il problema è che questo esecutivo corre sempre ai ripari con norme inutili e non interviene mai con misure strutturali. Perché non ha ordinato ancora più vaccini influenzali quando aveva il tempo di farlo? Perché non ha indetto i bandi per implementare le terapie intensive? Perché continua a osteggiare le Regioni anziché collaborare?”

Durante la pandemia è emerso prepotentemente il conflitto tra la necessaria tutela della salute e quella delle libertà fondamentali dei cittadini. Il lockdown è sembrato a molti, soprattutto per le sue drammatiche conseguenze socio-economiche, una misura non in linea con i principi fondanti di uno stato democratico. Si poteva fare diversamente?

Le libertà individuali – afferma ancora Andrea Indini – finiscono laddove si scontrano con il bene e la salute pubblica. Probabilmente il governo si è mosso in ritardo. Abbiamo pagato caro gli iniziali tentennamenti. Mentre faticava a capire come tamponare l’emergenza sanitaria, non si curava dell’altro grande malato del nostro Paese: l’economia. Già ad aprile, in un cinico ma illuminante articolo dal titolo Covid-19 presents stark choices between life, death and the economy, l’Economist cercava già di far luce su qualcosa che noi, accecati dalla paura e dal dolore, non avevamo spazio per vedere: le conseguenze socio-economiche del lockdown. La domanda che si poneva era semplice: il costo di questo lockdown globale non finirà per superare i benefici che inizialmente ha portato? Se inizialmente Conte non se ne è curato, ora dovrebbe interessarsene. Perché un altro lockdown porterebbe il Paese definitivamente al collasso”

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