Il 25 novembre del 1970, esattamente cinquant’anni fa, si toglieva la vita, eseguendo un seppuku (il tradizionale suicidio rituale dei samurai) lo scrittore giapponese Yukio Mishima. “Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo”, furono le sue ultime parole. 

La storia di Mishima è quella di una vita sacrificata all’idea. Il suo fu il percorso di un intellettuale estremo e radicale, che non accettava di vedere la sovranità e i costumi tradizionali della sua patria calpestati dai vincitori del conflitto mondiale. Calpestati da quell’Occidente liberale che, dopo averlo umiliato con le atomiche su Hiroshima e Nagasaki, pretendeva di imporre i suoi valori a un popolo dalla cultura millenaria.

E, proprio in questa particolare ricorrenza, va segnalata una pregevole iniziativa editoriale. Si chiama infatti “Mishima. Acciaio, Sole ed Estetica“, l’ultimo lavoro di Riccardo Rosati, orientalista, critico d’arte e studioso di lingue, teatro e cinema, con un notevole portfolio di pubblicazioni alle spalle: “La trasposizione cinematografica di Heart of Darkness” (Starrylink, 2004); “Nel quartiere” (Starrylink, 2004); “La visione nel Museo” (Starrylink, 2005); “Museologia e Tradizione” (Solfanelli, 2015); “Lo schermo immaginario” (Tabula fati, 2016); “La Bellezza antimoderna” (Solfanelli, 2017); “Cinema e Società. Al di là della critica” (Tabula fati, 2020). Rosati è anche autore di una monografia sul Giappone, “Perdendo il Giappone” (Armando Editore, 2005), oltre che co-autore di altri saggi: “Mutamenti culturali e dinamiche sociali in Giappone tra gli anni Ottanta e il 2000” (Società Editrice La Torre, 2011); con Luigi Cozzi, “Godzilla 2014″ (Profondo Rosso, 2014); “Dalla katana al revolver. Akira Kurosawa e Sergio Leone a confronto” (Profondo Rosso, 2018).

Quest’ultimo libro, edito da Cinabro Edizioni, è dedicato proprio alla figura dell'”ultimo samurai”.  Un’iniziativa i cui contorni sono precisi. “Il Giappone – si legge infatti nella presentazione del volume – malgrado lo si ritenga un protagonista del progresso, è stato preda della modernità, sul cui altare ha sacrificato i propri usi e costumi, in buona sostanza la sua Tradizione. Di ciò Yukio Mishima era perfettamente consapevole, come, del resto, sapeva che serviva un ‘antidoto’, così da estirpare dal Paese le perniciose influenze occidentali. Il celebre scrittore nipponico individuò nell’acciaio del corpo la migliore forma di lotta. Una battaglia, la sua, che non era però semplice eversione, bensì frutto di un ragionamento vigoroso che mirava a rivitalizzare lo spirito antico del Giappone medievale”. 

Una rivitalizzazione che, per Mishima, passava dunque attraverso una tensione aristocratica ed estetica più che politica, che fa di questo personaggio un uomo fuori dal tempo, dunque un uomo della Tradizione, la cui fine tragica rivela valori diametralmente opposti a quelli propugnati dalla mediocre mentalità borghese che lo scrittore vedeva come un morbo letale. Un morbo capace di annichilire, più di qualsiasi arma nucleare, lo spirito del Giappone.

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