Democratic presidential candidate former Vice President Joe Biden speaks to supporters, early Wednesday, Nov. 4, 2020, in Wilmington, Del. (AP Photo/Paul Sancya

L’era di Donald Trump alla Casa Bianca è ufficialmente terminata. Al termine di una lunga e faticosa elaborazione (complice il voto per corrispondenza, che molti Stati hanno introdotto in virtù dell’emergenza Coronavirus) Joe Biden, forte di 279 grandi elettori contro i 214 del rivale, è stato dichiarato presidente eletto degli Stati Uniti d’America. Già vicepresidente durante l’era Obama, Biden, con i suoi 78 anni, al momento del giuramento, previsto per il 20 gennaio 2021, sarà il presidente più anziano nella storia degli States e il secondo di fede cattolica dopo John Fitzgerald Kennedy. Al suo fianco, come vicepresidente, avrà Kamala Harris, che sarà la prima donna a ricoprire la carica.

Così, mentre Trump denuncia brogli e si prepara a dimostrare che il voto sia stato truccato (il tycoon ha intentato una causa contro il segretario di stato della Pennsylvania, Kathy Boockvar, mentre il segretario alla Giustizia William Barr ha autorizzato il suo Dipartimento di a indagare sulle presunte irregolarità), la realtà che emerge è quella di un Paese, gli USA, profondamente diviso.

Anche sulle mappe. Da un lato ci sono gli stati “rossi”, così definiti per il colore che caratterizza la vittoria dei repubblicani sulle cartine elettorali. Tra questi il Texas, la Florida, il Montana, la Louisiana, l’Alabama. Dall’altra gli stati “blu”, quelli a maggioranza “dem”: la California, su tutti, la Pennsylvania, New York. La divisione in America è quella che, piuttosto rozzamente e in virtù di una necessaria semplificazione, si può delineare tra le realtà del West produttivo e rurale, degli Stati del sud, da un lato, e dall’altro degli Stati dominati dall’ideologia globalista che permea il ceto intellettuale e alto-borghese, delle metropoli e della Silicon Valley. Lo scenario, rispetto al 2016, non è cambiato. A cambiare è stato il risultato, complice, probabilmente, anche la pandemia.

I GIGANTI DELL’HI-TECH CELEBRANO BIDEN

Con Biden sarà, per paradosso, il presidente più anziano di sempre a portarsi sulle spalle il mantello del capitalismo del silicio, dei giganti del web, nuovi padroni di un mondo sempre più digitalizzato e sorvegliato. Un capitalismo che il nuovo presidente lo ha sostenuto ampiamente e a darne dimostrazione sono le reazioni di questo mondo alla notizia della sua elezione.

Il fondatore di Microsoft Bill Gates, che ha criticato apertamente la risposta al Coronavirus di Trump, ha affermato di non vedere l’ora di “lavorare con la nuova amministrazione e i leader di entrambe le parti al Congresso per tenere sotto controllo la crescente pandemia”. Il presidente della stessa azienda, Brad Smith, ha scritto un post sul proprio blog congratulandosi con Biden e Harris, mentre invocava l’unità in tutto il paese. “Se vogliamo andare avanti come nazione, dobbiamo costruire nuovi ponti per colmare le lacune che ci dividono”, ha detto Smith.

Il COO di Facebook Sheryl Sandberg e Priscilla Chan, moglie del CEO di Facebook Mark Zuckerberg e cofondatore della Chan Zuckerberg Initiative, si sono entrambi congratulati con Biden e Harris. “Dopo alcuni lunghi giorni, ora sappiamo che Joe Biden sarà il nostro prossimo presidente e, per la prima volta in 231 anni, il nostro prossimo vicepresidente sarà una donna afroamericana di colore e figlia di immigrati”, ha scritto Sandberg in un post. “Ci sono momenti in cui l’America fa un grande passo verso la creazione di un governo che rifletta il diverso paese che siamo. Oggi è uno di quei giorni.”

Laurene Powell Jobs, fondatrice di Emerson Collective e vedova del fondatore di Apple Steve Jobs, ha anche celebrato la vittoria di Biden e Harris in un tweet, sottolineando che la vittoria del vicepresidente eletto rappresenta un “soffitto di vetro infranto una volta per tutte“. Il CEO di Cisco Chuck Robbins ha scritto in un tweet che la società è in linea con la “convinzione di Biden e Harris che dobbiamo costruire un futuro più inclusivo per tutti”.

Si può concludere con il patron di Amazon, Jeff Bezos, che ha festeggiato su Instagram la vittoria del nuovo duo presidenziale commentando che “l’unità, l’empatia e la decenza non sono caratteristiche di un’epoca passata”.

CON LA CINA NON SI TORNERA’ AI RAPPORTI DEL PRE-TRUMP

Queste reazioni, e questo supporto, lasciano presagire cosa potrà accadere ora negli USA. Con Biden, sicuramente, vi sarà un ritorno al multilateralismo “unilaterale” che aveva caratterizzato l’era Obama. La Casa Bianca, cioè, rientrerà nell’OMS e ricomincerà a tentare di sfruttare a proprio esclusivo vantaggio quelle organizzazioni sovranazionali che dal secondo dopoguerra sono il frutto dell’egemonia atlantica. Questo, però, non significa, come qualche osservatore ha forse superficialmente ipotizzato, che con Biden si rassereneranno i rapporti con la Cina, una situazione questa più volte paventata da Trump durante la campagna elettorale. Come riporta l’agenzia Reuters, Biden “è spesso andato anche oltre il presidente uscente nell’attaccare la Cina. Ha definito il presidente cinese Xi Jinping un ‘delinquente’ e ha promesso di guidare una campagna internazionale per ‘fare pressione, isolare e punire la Cina’. La sua campagna ha anche etichettato le azioni della Cina contro i musulmani nello Xinjiang ‘genocidio’, con implicazioni significative se tale designazione sarà formalizzata”.

“Gli Stati Uniti devono fare i duri con la Cina”, ha detto Biden in un articolo pubblicato a marzo quando la pandemia di Coronavirus, iniziata nella città cinese di Wuhan, ha preso piede. “Il modo più efficace per affrontare questa sfida – ha aggiunto – è costruire un fronte unito di alleati e partner statunitensi per affrontare i comportamenti abusivi e le violazioni dei diritti umani della Cina”.

Non c’è, quindi, all’orizzonte la benché minima possibilità che si ricostruica quel sodalizio a guida della globalizzazione che lo storico inglese Niall Ferguson aveva definito “Chimerica”. O che si ritorni alla situazione di quel “congagement” (un neologismo formato dalle parole “contenimento” e “coinvolgimento”), suggerito in un paper della Rand Corporation nel 2006. Pechino è ormai un rivale con mire geopolitiche troppo ampie per poter anche solo pensare che si torni alla situazione precedente alla presidenza Trump.

SARA’ GUERRA AL GAS RUSSO. CON IL RISCHIO DI UN’EUROPA NUOVAMENTE ALLINEATA

Per quanto riguarda il Cremlino, le previsioni sono più scontate: la pressione nei confronti di Mosca non si è mai arrestata nonostante certa retorica vedesse in Trump un “amico” del presidente Putin. Anzi: quanto sta accadendo in Bielorussia dimostra come la volontà di sfruttare le tensioni interne ai Paesi della sfera d’influenza della Federazione Russa non sia mai venuta meno. Con Biden è facile intuire che la situazione possa solo aggravarsi, e la guerra all’influenza energetica di Mosca sull’Europa, con i gasdotti in costruzione North Stream 2 e Turkish Stream, sarà combattuta tenacemente.

A proposito dell’Europa, il suo è forse il caso più interessante. Se la presidenza Trump aveva avuto il merito di accentuare le differenze con i leader liberali del vecchio continente, costringendoli quindi a prendere coscienza del proprio ruolo geopolitico, accelerando così un processo di autonomia prima impensabile, il rischio è che, ora, torni quella sintonia che, ai tempi di Obama, aveva portato Bruxelles, Berlino e Parigi a dimostrare una sudditanza pedissequa ai desiderata di Washington e della sua agenda globalista. In tal caso si potrebbe, forse, tornare in breve tempo a sentir parlare del progetto abortito del TTIP, con la volontà di costruire un unico mercato euro-atlantico. Per l’Europa, tuttavia, tornare a ricoprire, come se nulla fosse accaduto, il ruolo di “alleato minore”, rischierebbe di essere un importante passo indietro.

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