Dal “Mare Nostrum” all’Artico, passando per il Baltico, l’importanza dei “mediterranei” dell’Eurasia
Un prezioso dono natalizio in anticipo per gli appassionati di geopolitica. È infatti uscito in questi giorni (ed è quindi disponibile per l’acquisto) il nuovo numero (il 61esimo) di “Eurasia – Rivista di Studi Geopolitici”. Il titolo è intrigante: “I mediterranei dell’Eurasia”. Il volume affronta il tema del dominio sui mari, dove sempre più sono destinate a sfidarsi le maggiori potenze del tempo presente. Si parla, naturalmente, di Stati Uniti, Cina e Russia, ma anche di ambiziosi attori regionali come la Turchia, impegnata nel Mediterraneo Orientale, teatro, come noto dalle cronache, di una contesa con la Grecia, Cipro e la Francia. Ma perché declinare il termine “mediterranei” al plurale? Esistono altri mari così definibili, oltre al Mediterraneo eponimo?
“‘Mediterraneo’ – spiega il direttore di Eurasia, il professor Claudio Mutti – è un bacino marittimo che, come dice la parola stessa, si trova ‘in mezzo alle terre’, essendo quasi interamente circoscritto da esse. Se il Mare Mediterraneo per antonomasia è quello compreso tra le coste dell’Europa, dell’Asia occidentale e del Nordafrica, Yves Lacoste ha identificato altri due mari che possono essere definiti anch’essi ‘mediterranei’, in quanto circondati da terre: un ‘mediterraneo’ americano, formato dal Golfo del Messico e dal Mar delle Antille, nonché un ‘mediterraneo’ estremo-orientale, formato da Mar Giallo, Mar Cinese Orientale e Mar Cinese Meridionale. Applicando il criterio del geopolitico francese alla massa continentale eurasiatica, risulterà che le sponde del nostro grande continente sono bagnate, oltre che dal Mediterraneo eponimo, da altri tre mari ‘mediterranei’: il Mar Glaciale Artico, il Baltico ed il ‘mediterraneo’ estremo-orientale”.
Si parla di realtà geografiche al centro delle contese del presente e del futuro del mondo: se infatti gli Stati Uniti d’America sono considerati l’archetipo di una potenza talassocratica, non vale lo stesso discorso per la Cina, eppure la sfida tra i due giganti geopolitici pare destinata a realizzarsi sempre di più anche e proprio sui mari.
“La strategia terrestre degli Stati Uniti – prosegue Claudio Mutti – dopo aver tentato invano di attaccare la Repubblica Popolare Cinese destabilizzandone le province più interne (Tibet e Xinjiang), mira a sabotare i progetti infrastrutturali della Nuova Via della Seta. Più che la terra, è però il mare a profilarsi come il teatro del conflitto cino-americano. Già all’epoca di Obama gli USA, allarmati dal primato produttivo che la Cina andava acquisendo, hanno spostato il loro asse geostrategico nell’area indo-pacifica, dove si stava assestando il nuovo centro del commercio mondiale. Di qui l’importanza geostrategica del ‘mediterraneo’ estremo-orientale e, in particolare, del Mar Cinese Meridionale, un’area che, oltre ad essere ricca di risorse naturali, costituisce il punto di snodo delle attività economiche globali. Qui, in questa area contesa fra le due superpotenze, la presenza militare degli Stati Uniti mira ad esercitare nei confronti della Cina un’azione di ‘contenimento’ che possa ritardare il tramonto dell’egemonia americana”.
Come si diceva, tuttavia, vi sono anche una serie di potenze regionali che stanno impostando la propria visione strategica con ben più di uno sguardo rivolto al contesto marittimo. Tra queste c’è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, cui, in questo numero di Eurasia, sono dedicate numerose riflessioni.
“L’attuale proiezione marittima della Turchia – spiega Mutti – è codificata nell’ormai celebre dottrina della ‘Patria blu’ (Mavi Vatan) formulata dall’ammiraglio Cem Gürdeniz. Si può dire che tale dottrina rappresenti un perfezionamento della visione geopolitica ‘neo-ottomana’, la quale è stata revisionata alla luce della natura peninsulare dell’Anatolia e della fondamentale importanza dei mari che ne bagnano le sponde. Gli strateghi di Ankara sono convinti che la partita per il primato globale verrà giocata sui mari e sugli oceani del mondo, per cui il futuro della Turchia dipenderà dal suo radicamento nel Mediterraneo. È in questa prospettiva che si spiega perché Ankara abbia aperto diversi fronti sulle sponde mediterranee, da Cipro alla Libia, a costo di provocare levate di scudi da tutte le parti”.
Affascinante, fosse anche solo per la forza che esercita sulle fantasie dell’immaginario collettivo, abituato a collegarla ai ricordi di storiche ed eroiche spedizioni, è la contesa per il Mar Glaciale Artico…
“Si può avere un’idea dell’importanza dell’Oceano Artico (o Mar Glaciale Artico, secondo la denominazione in uso tra i geografi italiani) – conclude Mutti – se si considera che l’anno scorso l’Amministrazione statunitense ha tentato di acquistare la Groenlandia, la più grande isola del mondo, la quale appartiene politicamente alla Danimarca, uno degli otto Stati costieri del ‘mediterraneo’ artico. L’Artico ha acquisito una crescente importanza non solo per le risorse naturali presenti nei suoi fondali, ma anche per le nuove vie marittime che lo attraversano, più brevi e più sicure di quanto non siano il canale di Suez, il canale di Panama o lo stretto di Magellano, anche se le rotte artiche (il cui utilizzo è prevalentemente stagionale e legato al petrolio ed al gas naturale) sono ancora lontane dal superare per importanza le rotte commerciali consuete”.