Per gli appassionati di letture storiche e, in particolare, di quelle “storie nella Storia” che spesso costituiscono tanti piccoli ma fondamentali tasselli per comprendere cosa sia stato un determinato macro-fenomeno (soprattutto quelli più controversi o misconosciuti, nonostante il proliferare di pubblicazioni in materia), può raramente accadere di trovare, sugli scaffali (virtuali e non) delle librerie, testi che sono anche documenti preziosi. Un documento storico di indubbio valore, per esempio, fu la ri-pubblicazione degli scritti di Niccolò Giani, fondatore, nel 1930, della Scuola di Mistica Fascista, editi nel 2010 da il Cinabro di Catania e presto andati esauriti. Per la prima volta, in quella occasione, veniva proposta, con una raccolta di ben 18 testi dell’autore, reperiti e raccolti appositamente dal primo editore, un’opera capace di rappresentare, senza letture forzatamente esegetiche o di parte, il pensiero di questo non troppo conosciuto personaggio del ventennio mussoliniano.

Nato a Muggia, piccola località del Friuli Venezia Giulia, il 20 giugno 1909, Giani fondò la scuola, intitolata ad Alessandro Italico Mussolini, nipote del Duce all’epoca da poco scomparso, nel 1930, dopo aver aderito ai Gruppi Universitari Fascisti. Al suo fianco trovò, in quella impresa, Arnaldo Mussolini, padre proprio di Alessandro. Giani, studente di Giurisprudenza a Milano, dove si era trasferito da Trieste, intendeva con quella iniziativa riproporre, in un momento in cui il fascismo-regime si era ormai consolidato al potere, il sentimento che animava il fascismo delle origini, militante e combattente, vissuto in maniera estremamente coerente. Forse proprio per questo vi era, in quella iniziativa, un sentito richiamo al concetto di “Tradizione”, separato in maniera netta da quello di conservazione o reazione, come disse proprio Giani. “Il fascismoebbe infatti a sostenere, richiamandosi a un altro pensatore tradizionalista come Julius Evola, che tanto influirà sull’immaginario di certo neo-fascismo giovanile del secondo dopoguerra – è un richiamo violento alla Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo per il passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano del secolo XX non può che essere fascista”.

Giornalista e accademico, Giani, che, ancora giovanissimo (nel 1935) ricevette l’incarico di professore di Storia e dottrina del fascismo all’Università di Pavia e collaborò con diverse testate come giornalista, fu interprete fino alle estreme conseguenze delle proprie idee: partecipò infatti come volontario alla guerra d’Etiopia tra il 1935 e il 1936 e poi alla Seconda Guerra Mondiale, dove perdette la vita durante la battaglia sul fronte greco-albanese, mentre combatteva per la conquista della Punta Nord di Mali Scindeli, ottenendo la medaglia d’oro al valore militare.

I suoi scritti, oggi, vengono riproposti in una nuova edizione da Cinabro, con il titolo “Mistica della rivoluzione fascista, insieme a una prefazione di Maurizio Rossi e all’elogio dell’autore, in occasione del suo estremo sacrificio, da parte di Fernando Mezzasoma (anch’esso esponente della Scuola). Un’occasione importante, quella offerta da questa riedizione, per comprendere una vicenda peculiare dell’Italia in camicia nera e, probabilmente, il contesto culturale e valoriale di riferimento di una gioventù italiana che, proprio in quell’epoca, si formò.

 

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