Ex ufficiale dell’esercito, dottore in Legge, conferenziere, scrittore d’inchiesta (più di 300.000 copie vendute solo in Italia, con oltre 20 saggi pubblicati in 19 Paesi), ha lavorato presso le più prestigiose istituzioni dello Stato (Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e Consiglio di Stato), Marco Pizzuti, 54enne romano, è considerato, a ragione, uno dei maggiori esperti dell’informazione indipendente, dove ha iniziato a farsi largo nel 2008, con la fondazione del blog Altrainformazione.it. A caratterizzarlo, oltre alle competenze multi-disciplinari, anche un’insaziabile sete di conoscenza. Doti che lo hanno reso apprezzato anche all’estero, dove ha contribuito alla realizzazione di documentari di produzione spagnola e italo-argentina. E, dopo essersi occupato prevalentemente di geopolitica e dei retroscena del potere globale, proprio la sua instancabile voglia di approfondire lo ha portato, oggi, a pubblicare (con la casa editrice Nexus) una trilogia storica destinata a far discutere. Soprattutto perché incentrata su quella che, innegabilmente, è la figura più divisiva della storia d’Italia: Benito Mussolini.

Il primo volume della tua trilogia “La vera storia di Mussolini sta per uscire in libreria (il titolo è “Alba“, seguiranno poi “Ascesa” e “Tramonto“, nda). Del Duce tu ti eri già occupato in passato, eppure di biografie su di lui se ne sono scritte parecchie. Da ultima quella, romanzata, di Antonio Scurati, che ha ottenuto un successo enorme. Ti confronti, insomma, su un territorio sul quale hanno camminato i giganti. In che cosa si differenzia questo tuo lavoro da quelli che lo hanno preceduto?

“È indubbio: Benito Mussolini è tra i personaggi storici più studiati, analizzati, sezionati e romanzati al mondo. Eppure, paradossalmente, mancava ancora un’indagine storiografica capace di rischiarare le ombre, colmare le lacune e infrangere i silenzi che gravano sulla narrazione ufficiale. Non è presunzione la mia, ma semplice constatazione dei fatti: per accorgersene, non occorre un genio, bensì uno spirito libero dai dogmi storiografici che la cultura dominante impone. Il problema, infatti, è che gli storici più celebrati, oserei dire paludati, appaiono del tutto disinteressati, se non ostili, a divulgare verità scomode, laddove queste implichino una revisione radicale della narrazione imposta al termine del secondo conflitto mondiale. Un’imponente mole di pubblicazioni non ha fatto altro che ruminare all’infinito la stessa versione dei vincitori, quella confezionata dagli angloamericani per edificare il mito di una liberazione che altro non fu se non la trasformazione dell’Italia in una colonia dell’Impero a stelle e strisce. Così, demonizzando l’uomo che in quegli anni incarnava, nel bene e nel male, la nazione, si è potuto traslare su un intero popolo il peso delle sue presunte colpe. Ecco perché, a quasi un secolo di distanza, è non solo lecito, ma doveroso, riportare alla luce ciò che è stato occultato: dai carteggi Mussolini-Churchill, alle molteplici verità rimosse e ridicolizzate come leggende metropolitane. Non per indulgere in operazioni di riabilitazione nostalgica, né tantomeno per restaurare miti infranti, come malignamente si affretta ad accusare chi teme la verità, bensì per dimostrare che la resa incondizionata imposta all’Italia fu un tradimento orchestrato da Churchill e un crimine politico di vaste proporzioni. Questo libro si configura dunque come l’antitesi radicale delle narrazioni alla Scurati: un’operazione intellettuale e documentaria volta a smascherare quel copione stereotipato che ha reso celebri i suoi romanzi presso un pubblico di bocca buona, avvezzo a digerire senza spirito critico le caricature grottesche che la cultura pop ha imposto come verità storica”.

Con una produzione di biografie e saggi così voluminosa, di Mussolini si è scritto tutto e il contrario di tutto: chi lo ha definito uno statista, chi un dittatore sanguinario, chi un opportunista e chi, addirittura, lo ha indicato come possibile agente britannico. E, ancora, c’è chi parla di lui come di un uomo legato, nonostante tutto, ai figli e alla famiglia e chi ne evidenzia piuttosto la turbolenta vita amorosa e (si cita spesso, tra le altre, la tormentata vicenda di Ida Dalser). Può sembrare banale chiederlo ma… chi era Benito Mussolini?

Marco Pizzuti

A mio avviso, Benito Mussolini fu un amalgama complesso e contraddittorio di molteplici nature, incarnazione di luci e ombre della modernità politica, ma non un dittatore sanguinario nel senso che la storia ha riservato ad altri carnefici del Novecento come Hitler, Stalin o il più recente Pinochet. Diversamente da costoro, Mussolini non fece della strage sistematica e dell’eliminazione fisica di massa il proprio metodo repressivo: preferì, piuttosto, l’olio di ricino, il manganello, il confino coatto e l’umiliazione pubblica. Le esecuzioni e gli omicidi politici furono, nel suo caso, episodi isolati, spesso frutto dell’iniziativa brutale degli squadristi o, più tardi, delle formazioni armate della Repubblica Sociale Italiana, quando il Duce non era che l’ombra di sé stesso, prigioniero dorato di un regime fantoccio imposto dalla volontà hitleriana. In quel frangente, ogni suo spostamento era sorvegliato dalle SS e gli ordini impartiti ai repubblichini provenivano direttamente dal comando tedesco. L’uso sistematico della violenza politica si concentrò soprattutto nel turbolento biennio rosso, durante il quale Mussolini si servì delle squadracce fasciste per ristabilire l’ordine in un Paese travolto da scioperi paralizzanti, occupazioni di fabbriche e fermenti insurrezionali di matrice socialista. Ma con l’instaurazione del regime, la repressione assunse la forma più sottile e pervasiva del controllo sociale e del consenso plebiscitario, che egli seppe alimentare fino a quando l’azzardo dell’alleanza con la Germania nazista non trascinò l’Italia nel baratro della disfatta militare. Non va dimenticato che, almeno nei primi anni, il fascismo suscitò ammirazione anche oltre i confini nazionali: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo guardarono con una certa benevolenza, riconoscendogli il merito – ai loro occhi – di aver arginato l’ondata bolscevica che minacciava l’Europa. Del resto, già durante la Grande Guerra, Mussolini aveva intrecciato rapporti con l’intelligence britannica, dalla quale ricevette sostegno economico per sostenere la partecipazione italiana al conflitto. Quei rapporti, per quanto opachi, non si interruppero con la fine del conflitto ma proseguirono, celati tra le pieghe della diplomazia segreta. Come uomo, Mussolini fu tutt’altro che irreprensibile: instabile nella vita privata, inaffidabile come padre, spregiudicato come amante. Come capo politico, seppe però decifrare con straordinaria intuizione la psicologia collettiva degli italiani, anche se fu un disastroso stratega militare e un temerario incline al rischio più che alla ponderazione. Tutto questo costituisce il ritratto ormai consolidato del personaggio storico. Ma vi è un aspetto meno noto e assai più rivelatore della sua natura bifronte, che ho approfondito in questo testo: la verità, documentata dalle carte desecretate degli archivi londinesi, secondo cui l’alleanza con la Germania fu, in realtà, un tentativo estremo di evitare che l’Italia venisse travolta e occupata, come accadde ad altre nazioni. Allo stesso tempo, Mussolini conduceva trattative segrete con gli Alleati, offrendo sostegno materiale e logistico contro il medesimo Hitler cui ufficialmente si era legato. È questa la chiave più sfuggente e, forse, più tragica del suo agire politico: una personalità poliedrica, dominata da contraddizioni, capace di passare dall’esaltazione titanica al più mesto servilismo. Le vere cause dell’entrata in guerra, la caduta del 25 luglio, la fuga del re, la scenografica liberazione del Gran Sasso e infine la sua morte, avvenuta senza processo, non possono essere comprese senza scavare in questa zona grigia, dove l’opportunismo politico si intreccia al disincanto, e il calcolo alla disperazione”.

Uno dei punti oscuri della sua vicenda politica e umana, fu senza dubbio quello del delitto Matteotti. Sui libri di storia scolastici sovente lo si attribuisce, senza alcun dubbio, al capo del fascismo. Ma oggi non tutti hanno un’opinione unanime. Tu che cosa ne pensi?

“Per affrontare adeguatamente una simile questione, è doveroso premettere alcuni elementi spesso ignorati dalla vulgata storiografica. È ben noto che il principale oppositore politico di Benito Mussolini fosse Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, protagonista di violenti scontri verbali in Parlamento che lo avevano reso, agli occhi dell’opinione pubblica, il più temibile nemico del regime nascente. Proprio per questo, se Mussolini avesse davvero ordinato il suo assassinio, si sarebbe macchiato di un atto tanto plateale quanto autolesionistico: un gesto tanto imprudente da apparire politicamente suicida. Pochi sanno, tuttavia, che nel momento esatto in cui Matteotti fu rapito e poi ucciso da un manipolo di sicari fascisti guidati da Amerigo Dumini, il Duce era impegnato in delicate trattative per la formazione di un governo di coalizione. L’obiettivo? Ricucire i rapporti con la galassia socialista da cui egli stesso proveniva, reintegrando alcuni ex compagni attraverso un rimpasto ministeriale già predisposto con nomi condivisi. Questa manovra, lungimirante ma dirompente, suscitò immediatamente l’ostilità di diversi attori potenti: i gerarchi fascisti più oltranzisti, la monarchia e soprattutto, la diplomazia britannica, che vedeva nel fascismo italiano un baluardo indispensabile contro l’espansione bolscevica. Non si può infatti comprendere la storia politica dell’Italia moderna senza riconoscere il ruolo determinante della Gran Bretagna, sin dai tempi del Risorgimento. Fu proprio la flotta inglese, con le navi Intrepid e Hannibal, a garantire la riuscita della spedizione garibaldina contro il Regno delle Due Sicilie, spianando la strada a un assetto mediterraneo più favorevole agli interessi londinesi e al controllo del canale di Suez. In questa chiave, l’assassinio di Matteotti non solo impedì il riavvicinamento tra fascismo e socialismo, ma offrì anche il pretesto perfetto per consolidare l’immagine autoritaria del regime agli occhi del mondo, spingendo Mussolini verso una dittatura piena, nonostante il suo iniziale tentativo di trovare una via mediana. L’indignazione popolare fu enorme, e la tenuta stessa del governo cominciò a vacillare. Italo Balbo, Roberto Farinacci e altri gerarchi minacciarono di estromettere il Duce, se egli non avesse assunto il pugno di ferro per sopravvivere politicamente. In questo contesto, la figura di Amerigo Dumini si staglia come emblema di ambiguità e doppiezza. Massone di alto grado, affiliato alla Gran Loggia Nazionale di Piazza del Gesù con il titolo di Maestro, Dumini intratteneva rapporti stretti non solo con il regime fascista ma anche con ambienti anglosassoni e internazionali di natura opaca. Emblematico è l’episodio del 1941, quando, catturato in Africa dalle forze britanniche, fu apparentemente giustiziato per fucilazione, ma ne uscì vivo, come per miracolo, in quello che fu più verosimilmente un finto esecuzione con via libera alla fuga. Nel 1943, Dumini seguì Mussolini a Salò, operando come agente segreto nell’intelligence della Repubblica Sociale Italiana e, con ogni probabilità, anche per conto di servizi stranieri. Arrestato nuovamente dagli inglesi nel 1945, fu processato e condannato all’ergastolo per l’assassinio di Matteotti. Eppure, la pena fu prima ridotta a trent’anni, poi pressoché annullata da una serie di provvedimenti di clemenza. Un destino a dir poco anomalo per l’esecutore materiale di un delitto così simbolico. Un altro elemento paradossale, spesso ignorato, riguarda proprio il dossier che Matteotti aveva raccolto a Londra, una documentazione scottante sulle tangenti del regime per le concessioni petrolifere e che fu redatto con l’aiuto di alcuni deputati laburisti. Dopo l’omicidio, ci si aspetterebbe che tale materiale fosse pubblicato per delegittimare definitivamente il fascismo. Ma così non fu: i documenti furono silenziati, come se la loro funzione fosse compiuta nel momento stesso in cui avevano offerto una giustificazione morale all’indignazione internazionale. Il vero mandante dell’assassinio, dunque, rimane avvolto nel mistero. Ma se una cosa appare certa, è che Mussolini aveva tutto da perdere da quella morte. Una tesi sostenuta persino da Carlo Silvestri, che da acerrimo accusatore del fascismo, in un’epoca in cui ciò comportava reali pericoli, si trasformò in suo appassionato difensore dopo la caduta del regime, quando difendere Mussolini significava esporsi al pubblico ludibrio. A favore dell’innocenza del Duce si schierarono anche voci insospettabili: il figlio di Giacomo Matteotti, Matteo, e la stessa vedova del martire socialista. Un’adesione che suggerisce quanto più profondo, e forse manipolato, fosse il gioco politico dietro il delitto che segnò per sempre il destino dell’Italia”.

Quale fu il rapporto con Adolf Hitler? Anche se ancora oggi si utilizza la parola “nazifascismo” per definire, con un’unica identità, i regimi di Roma e Berlino degli anni Trenta, non sono pochi gli storici che hanno parlato di una relazione complessa con il nazionalsocialismo e il suo capo.

“La reale natura dei rapporti tra Benito Mussolini e Adolf Hitler era ben distante dalla rappresentazione stereotipata di due despoti accomunati da ideologia e finalità. In verità il Duce non fu mai un ammiratore del Führer, mentre è perfettamente documentato il contrario. Già negli anni Venti, quando era ancora un oscuro agitatore bavarese, Hitler teneva nel proprio studio un busto di Mussolini, venerato come l’araldo del fascismo europeo. Chiese più volte, invano, di incontrarlo: Mussolini lo ignorò sistematicamente, liquidandolo come un esaltato rozzo e privo di statura politica. Fu soltanto nel giugno del 1934, dopo che Hitler era ormai assurto alla carica di Cancelliere e si era consolidato come signore assoluto del Reich, che Mussolini acconsentì a riceverlo. Ma il loro primo incontro fu segnato da freddezza e diffidenza. Non a caso, fu proprio il Duce a mobilitare quattro divisioni dell’esercito italiano lungo il confine alpino, tra il Brennero e Tarvisio, con l’ordine d’intervenire militarmente qualora la Germania avesse tentato l’annessione dell’Austria. Era un chiaro atto di contenimento, volto a impedire che la fiamma nazionalsocialista si propagasse al cuore dell’Europa centrale. Soltanto quattro anni più tardi, la situazione si era completamente ribaltata: la Germania, ormai risorta come superpotenza industriale e militare, aveva surclassato ogni rivale sul continente. L’Italia, priva di un adeguato apparato bellico e consapevole della propria fragilità strategica, fu costretta a ripiegare. Mussolini, pur ostentando sicurezza, temeva che un qualsiasi dissidio con Hitler avrebbe fornito al Reich il pretesto per rivendicare l’Alto Adige, abitato da popolazioni di lingua e cultura tedesca e proiettarsi militarmente oltre le Alpi. Con questi presupposti fu siglato, il 22 maggio 1939, il tristemente celebre Patto d’Acciaio, un’alleanza militare che molti storici leggono come atto di cieca fedeltà al Terzo Reich, ma che alla luce dei documenti archiviati appare piuttosto come una mossa di necessità, se non di pura sopravvivenza. Lo dimostra il fatto che, immediatamente dopo la firma, Mussolini diede ordine di accelerare la costruzione della fortificazione alpina nota come Vallo Littorio, in seguito ribattezzata con l’eloquente soprannome di ‘Linea Non Mi Fido’. Si trattava di un sistema difensivo volto a fronteggiare eventuali aggressioni da parte dell’’alleato’ tedesco, nella più classica logica da pax armata. Ma è nei documenti declassificati degli archivi britannici che emerge la parte più sorprendente di questa vicenda. Nonostante la firma del Patto d’Acciaio e lo scoppio del conflitto (1 settembre 1939, invasione della Polonia), Mussolini, tutt’altro che allineato a Hitler, avviò trattative segrete con Londra. Il 24 novembre 1939, attraverso l’ingegner Prospero Gianferrari, emissario riservato del regime, venne aperto un ufficio nella capitale inglese per negoziare la fornitura di armi e materiali destinati a rendere la Germania inoffensiva. Lo scopo? Prevenire un futuro attacco al suolo italiano. L’interlocutore diretto del Duce in questo intrigo diplomatico fu nientemeno che Winston Churchill. Questi colloqui sotterranei proseguirono fino al dicembre del 1939, quando furono bruscamente interrotti a causa dell’intensificarsi dell’attività spionistica tedesca. Il controspionaggio del Reich stava per scoprire il doppio gioco italiano. A gennaio 1940, Hermann Göring, per conto di Hitler, inviò a Mussolini una lettera furente, nella quale intimava la cessazione immediata di ogni contatto con le potenze occidentali, pena gravissime conseguenze. Questo era il vero volto dei rapporti italo-tedeschi: lungi dall’essere improntati alla sincera alleanza, furono segnati da diffidenza, timore e reciproca strumentalizzazione. Dietro la cortina delle adunate oceaniche e delle fotografie ufficiali, Mussolini si muoveva con crescente esitazione, prigioniero di una politica estera che non dominava più, ma subiva. Il Duce, da uomo di scena abile e istrionico, fu in realtà progressivamente relegato al ruolo di comprimario, costretto a fingere un’intesa che nella sostanza si era fatta sempre più fragile e ambigua”.

Mussolini nasce socialista e vi è chi sostiene che, in fondo, tale rimase fino alla fine della sua vita. Cosa ne pensi? E quale fu il suo rapporto con il movimento che aveva creato, con il fascismo e con i fascisti? Insomma, in cosa credeva?

Le radici ideologiche di Benito Mussolini affondano profondamente nel terreno fertile del socialismo rivoluzionario di fine Ottocento. Suo padre, Alessandro Mussolini, era un artigiano ferrarese, fervente socialista, mazziniano e repubblicano anticlericale: fu lui a trasmettere al figlio la passione politica e l’insofferenza verso l’autorità costituita. Non è un caso che il futuro Duce portasse un nome carico di significati simbolici e riferimenti ideologici: Benito, in onore di Benito Juárez, il patriota messicano che resistette all’imperialismo francese; Amilcare, tributo ad Amilcare Cipriani, anarchico e garibaldino, figura mitica della sinistra internazionalista; e Andrea, in omaggio ad Andrea Costa, primo deputato socialista del Regno d’Italia e pioniere del socialismo organizzato nella Penisola. Benito Mussolini, dunque, nacque figlio del socialismo e per lungo tempo ne fu devoto apostolo: giornalista di punta e poi direttore dell’Avanti!, organo ufficiale del Partito Socialista Italiano, divenne presto il tribuno più ascoltato dalle masse operaie. La sua rottura con il PSI nel 1914, a seguito della posizione interventista assunta in aperta polemica con la linea neutralista del partito, segnò una cesura storica, ma non un rigetto totale delle istanze sociali. Anzi, Mussolini riteneva possibile e necessario, salvare il nucleo vitale del socialismo correggendone le derive utopistiche e dogmatiche, soprattutto quelle incarnate dal bolscevismo sovietico. Il fascismo, nella sua concezione originaria, non nacque come negazione assoluta del socialismo, bensì come suo superamento in chiave nazionale e pragmatica. Lo stesso Mussolini, in più di un’occasione, sostenne che il suo compito fosse quello di “disciplinare il socialismo”, piegarlo a una dimensione statale, organica e funzionale all’unità della nazione. Non è un caso che, anche nei suoi ultimi giorni, dopo il crollo del regime e l’instaurazione della Repubblica Sociale Italiana, Mussolini tornasse a flirtare con quelle antiche pulsioni rivoluzionarie. Insieme a Nicolò Bombacci, ex segretario del PSI e amico personale di Lenin, sostenne con vigore il progetto di socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione, approvato dal Consiglio dei Ministri della RSI nel febbraio del 1944. Un’utopia tardiva, certo, ma tutt’altro che improvvisata: era l’estremo tentativo di restituire una parvenza socialista a un fascismo ormai sconfitto sul piano militare e screditato su quello politico. Al di là della propaganda e delle deformazioni postume, è innegabile che il regime fascista, pur gravato dal peso autoritario e da una sistematica repressione del dissenso, promosse numerose riforme in ambito previdenziale, assistenziale e corporativo, molte delle quali anticiparono modelli di welfare che sarebbero stati ripresi e ampliati, nell’Italia repubblicana. Nessuno nega che quella dittatura fosse soffocante, ma va altresì riconosciuto che non raggiunse mai il livello di ferocia sistemica e annientamento totalitario delle esperienze nazista e stalinista. Mussolini fu, in definitiva, un ibrido ideologico, un uomo scisso tra l’ardore rivoluzionario e l’ambizione di potere, tra la nostalgia del socialismo paterno e il compromesso con le élite economiche e monarchiche. Un figlio del socialismo che tentò con esiti tragici e contraddittori, di rifondarlo attraverso il filtro della nazione e dell’autorità”.

Da militare, che giudizio storico dai della discesa dell’Italia nel secondo conflitto mondiale? Perché, secondo te, avvenne?

“Dalle pieghe degli archivi declassificati, laddove la storia smette di essere propaganda e torna a farsi documento, emerge una verità che ribalta l’interpretazione convenzionale degli eventi: Benito Mussolini non desiderava affatto un’Europa sotto il tallone di ferro di Adolf Hitler. Al contrario, temendone la prepotenza egemonica, tentò, nei limiti del possibile, di ostacolarne le mire espansionistiche. Emblematico, a tal proposito, è un episodio rimasto per lungo tempo confinato nel silenzio della diplomazia: su suo diretto ordine, Galeazzo Ciano informò la Segreteria di Stato vaticana del piano tedesco di sfondamento delle linee alleate attraverso i neutrali Paesi Bassi e Belgio. Era il preludio dell’offensiva fulminea che avrebbe aggirato la Linea Maginot, consentendo alla Wehrmacht di travolgere le forze anglo-francesi. Il Vaticano, rispettando le consuetudini della diplomazia pontificia, trasmise l’informazione all’Aia e a Bruxelles il 3 maggio 1940. Ma fu tutto vano. Quando l’offensiva si scatenò, nulla poteva più arrestare la furia bellica del Reich. Nel giro di settimane, la Francia crollava e la Gran Bretagna si trovava sola a reggere l’urto del dominio tedesco sul continente. Fu in questo clima di rovina annunciata che le capitali dell’asse anglosassone, Londra, Parigi, Washington, si rivolsero a Mussolini. Gli fu chiesto di intercedere presso Hitler per mitigare le condizioni di pace che questi si accingeva a dettare, convinto di aver già la vittoria in pugno. Dai verbali del War Cabinet britannico del 26 maggio 1940, emerge chiaramente che in cambio della sua mediazione, l’Italia avrebbe ricevuto generose concessioni nel Mediterraneo e nelle colonie francesi del Nord Africa. Ma Mussolini, da freddo calcolatore, rispose per bocca di Ciano che, non essendo ancora parte del conflitto, non aveva né il titolo né il peso politico per sedersi al tavolo dei vincitori e trattare con il Führer. Il 28 maggio, in un secondo colloquio con Sir Percy Lorraine, ambasciatore britannico a Roma, Ciano lasciò intendere che l’unico modo per ottenere un posto legittimo tra i vincitori era entrare in guerra, sia pure con un sacrificio minimo, “un pugno di morti”, sufficiente a giustificare la futura partecipazione alle trattative di pace. Su questo scambio, la documentazione ufficiale si interrompe. Ma non così la storia, che sopravvive nelle pieghe delle testimonianze indirette, delle tracce diplomatiche, dei famosi carteggi segreti tra Churchill e Mussolini, la cui esistenza fu ammessa, non senza esitazioni, persino da Renzo De Felice, massimo storico del fascismo, negli ultimi anni della sua carriera. Secondo questi indizi, Mussolini avrebbe aderito al conflitto non per brama di conquista, bensì come strumento strategico suggerito proprio da Londra e Parigi per legittimare il suo ruolo di mediatore presso un Hitler apparentemente invincibile. In sostanza, avrebbe finto di entrare in guerra contro gli Alleati per potersi sedere accanto a loro nella spartizione dell’Europa e limitare le pretese tedesche. La guerra, tuttavia, non seguì il copione previsto. All’improvviso, Hitler, in un gesto ancora oggi enigmatico, ordinò la sospensione dell’accerchiamento di Dunkerque, consentendo al corpo di spedizione britannico e ai francesi superstiti di reimbarcarsi e mettersi in salvo. Fu il colpo di scena che cambiò il corso del conflitto. Churchill, rianimato dall’insperata salvezza delle sue truppe e forte dell’imminente supporto militare degli Stati Uniti, non mantenne più i patti. Anzi, ordinò il bombardamento di Genova, trasformando quella che doveva essere una ‘guerra farsa’ in un conflitto autentico e sanguinoso anche per l’Italia. Così, Mussolini, trascinato nel baratro da un disegno tanto ambiguo quanto audace, si ritrovò a combattere una guerra che non desiderava, al fianco di un alleato che non stimava, e contro nemici che aveva cercato di aiutare. Una tragedia annunciata, ma mascherata per decenni dalla narrazione di comodo delle potenze vincitrici”.

A distanza di ormai 80 anni neanche la morte di Mussolini, così come è stata narrata dalla storiografia ufficiale, convince tutti: da Giorgio Pisanò a Luciano Garibaldi, recentemente scomparso, diverse e autorevoli firme hanno espresso riserve “eretiche”. E tu?

“Da decenni, la morte di Mussolini è circondata da una fitta nebbia di contraddizioni, omissioni e verità mancate. Testimonianze discordanti, versioni contrastanti fornite dagli stessi protagonisti della fucilazione, e dettagli forensi inquietanti, come i fori di proiettile sul corpo del Duce assenti però sugli abiti, indicano con forza che l’esecuzione non avvenne a Dongo nel modo ufficialmente narrato, ma la mattina, nella cosiddetta ‘Casa de Maria’, quando Mussolini era ancora in canottiera. La verità è che Mussolini venne molto probabilmente fatto uccidere in gran fretta da agenti inglesi, che lo tallonavano per impedire che potesse arrivare a un processo e mostrare le carte compromettenti che, come lui ripeté più volte, valevano più di una guerra vinta. In questo mio saggio, per la prima volta, tutte queste prove frammentarie sono state ricomposte in un quadro coerente e documentato, arricchito da un documento tanto esplosivo quanto illuminante, reso accessibile solo nel 2022. Un tassello chiave che, finalmente, getta nuova luce su uno dei misteri più oscuri della storia italiana”. 

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