Se la sinistra del progresso monta l’odio anni ‘70
“Fascio impara p38 spara”. Vogliamo tornare a questo cari venditori di futuro? Vogliamo tornare a fare un tuffo nell’immondizia? In un’epoca che ha lasciato morti sul selciato e feriti nell’animo?
Sono lì, nell’angolo con i pugni chiusi. Sempre loro. Stessa modalità. Distrarre, colpire, vittimizzarsi. Un tempo perché l’Italia era sporca e stuprata, per colpa dei governi di centro destra, poi perché era in balia delle onde e, rimetterla in piedi, era una sfida impossibile, sempre per gli effetti dei suddetti esecutivi. Poi tornarono in auge fasci, fascisti e contrapposti che, guarda caso, non si chiamano più comunisti e non si nutrono più di Marxismo, nella più anacronistica delle aspirazioni, ed improvvisamente si torna a rigurgitare, termine così caro a “loro”, dai nonnini dell’ANPI della sezione di Bussate sul Meno fino ai più velati e subdoli uomini del PD.
Cosa rimane da fare quando si cerca di giustificare un fallimento, senza stile né senso di responsabilità, senza signorilità? Sbattere il mostro in prima pagina. E se la “Trama Nera”, come cantavano gli Amici del Vento proprio nel ‘77, non è più attualizzabile, i “neri”, che nel frattempo cercano di capire in quale punto della scala dei grigi siano finiti, alle prese con un restyling storico che li agganci al presente senza dimenticare il passato, tornano di moda, sì, ma come caproni espiatori.
Le banalità sono servite. La pace contro la guerra, la civiltà contro il ritardo ideale, il progresso contro la conservazione, la sovranazionalità spinta e sottovuoto contro l’estrema volontà di combattere per la residua dignità italica, il pessimo gusto contro il buon gusto (di stare in silenzio almeno).
È un brulicare di terminologie, di astrattismi inutilmente fuorvianti, di brutalità linguistiche. Il piano è ben delineato con il comun denominatore della gratuità delle uscite. Dalle parti dei figli ripudiati del Marxismo il vizietto di andare, ogni tanto, a riaprire il politburo, spolverare, lavare i pavimenti, ordinare una pizza e far ripartire i lavori nottetempo non è mai passato. Dagli obelischi da buttare giù della Boldrini, ai bavagli da metter su, alla Meloni, dell’UNAR; dai fascisti da cacciare e quelli già cacciati dalla Capitale di Ignazio Marino, allo scontro di tolkeniana memoria: uomini versus bestie del giullare della corte europea, Matteo Renzi. Poi gli amarcord, gli indimenticabili, l’essenziale, a congiungere la macchina del fango di ieri con quella di oggi: le foibe te le celebro sempre tra le polemiche, anche ora, nel 2015 quando giungono i tempi del progresso universale, del rispetto all over the world, di Bono Vox il profeta, dell’apertura delle menti che cancellano i costumi troppo stretti (vedasi il dissociarsi ufficiale dalle celebrazioni del Consigliere regionale PD della Lombardia Onorio Rosati, l’assenza alle celebrazioni ufficiali del sindaco Giuliano Pisapia o le bombe carta di anarchici ed esponenti dei centri sociali sui partecipanti a una manifestazione in memoria dei martiri giuliani, istriani e dalmati a Trento, solo per citare qualche episodio fresco fresco), il centenario della Prima Guerra Mondiale già è tanto che lo abbiamo ricordato ufficialmente – evento assolutamente non inscrivibile nel rango di una precisa parte politica, fortunatamente, ma comunque e velatamente ritenuto “pericoloso” dal Politburo poiché evocatore di sentimenti, storie ed incipit ad alto tasso di nazionalismo, i settant’anni della Resistenza arrivano, invece, per motivare ogni tesi, anche quella scellerata di cancellare la scritta “Dux” dall’obelisco romano del Foro Italico.
Nel sentore comune, non sempre e solo istituzionale, sotto l’egida del regime progressista la tutela della famiglia tradizionale è roba da fascisti, oltre che ispirazione omofoba, discriminante e cattivona, la volontà di porre fine al massacro dovuto agli eccessivi flussi migratori è roba da fascisti, oltre che da xenofobi e nazisti spaziali, la necessità di rivalutare una chiara identità europea che poggi le fondamenta su baluardi storici e culturali comuni, secolari ed irrinunciabili, è roba da euro fascisti, oltre che muffosi, anacronistici e simpaticamente vintage, la promozione, proprio nei cento anni dalla Grande Guerra, di valori e sentimenti di patria, utili all’efficace riscoperta dei valori fondamentali della coscienza nazionale è roba da fascisti, oltre che da vecchi nostalgici o giovani disinformati che non hanno vissuto il periodo. Sotto l’egida del regime progressista è fascista persino Salvini!
Eppure, per i venditori di futuro, la postideologia è alle porte e il riferimento ad idee vecchie come il cucco è inutile come l’inglese di Renzi, figuriamoci lo scontro dialettico, il lancio di molotov da una barricata all’altra. Ma come, non erano state abbattute le barricate? Proprio “loro”, paladini dell’integrazione, col cuore aperto e ridondante di sangue e spine, neanche l’effige di Nostro Signore, con le mani aperte ad accogliere e solidarizzare; proprio “loro” così aperti persino ai dettami della Chiesa, così avvinghiati e col cuore stretto alle parole di Monsignor Galantino, perfetta effige dello sconfinamento incontrollato dei dettami della Chiesa nella politica.
Si può gridare al futuro, al rinnovamento sociale, a nuovi modelli più adatti a plasmare il presente sociale, civile ed ideale, quanto si vuole ma contro la vacuità delle dichiarazioni e delle visioni, l’unica cosa certa da poter fare per non fare scena muta e riempire lo spazio è tornare a gridare contro i nemici di un tempo con le assurde dinamiche di un tempo. Che meraviglia…