Il femminismo di regime in questo caos è solo un accessorio inutile
Liberticidio, femminicidio, fastidio.
Non un’apologia del maschilismo, ma un contenimento dell’idiozia, nell’epoca in cui la paura di perdere la libertà è la fobia più grande. Ma perché? Da chi? Nella fobia schizofrenica di perdere la libertà, ci stiamo ammanettando da soli, giorno dopo giorno, follia dopo follia, e l’odio, la rimarcazione delle differenze, lo scaricabarile, la gogna, l’ombra, i processi sommari (antica abitudine di una certa porzione d’Italia) alle streghe, sono la base di partenza per la costruzione della modernità, la stessa che, secondo l’egemonia culturale vigente, sta perseguendo tutt’altro obiettivo.
Tremate, tremate le streghe son tornate. Tornate? Reinventate, altro che! Ma non dovevano essere schiattate le ideologie? I movimenti spirituali, i flussi interiori, tutti quegli “ismi” che contaminano il pensare e l’agire sociale ed individuale? Evidentemente, in questo marasma squilibrato e molto poco democratico, non tutti gli “ismi” hanno lo stesso peso. Ce n’è uno, poi, che miete vittime come un moderno Politburo. Sfrondato dagli eccessi ideologici, rinnovato nella capacità di influenza sociale, rinforzato e reso meno brutale, marciato e militante, più candido, fatto passare per un’esigenza culturale irrinunciabile, per faro di questa modernità, per battaglia civile, simulando il movimento intellettuale, il femminismo continua, a distanza di anni dalle vagine mimate con le mani, a mietere vittime e a non servire a nessuno scopo. Magari con qualche annetto in più, con qualche acciacco in più, le femministe son tornate, eccome, trovando fertile humus nella sconsideratezza siderale di questo sistema senz’anima e senza identità, ma soprattutto senza più dignità.
Dal capriccio al raccapriccio.
Oggi, che il femminismo è istituzionalizzato, formalmente formalizzato, forse ancor più di prima, l’orda dell’inutilità avanza, imponendo un nuovo moralismo fatto di eccessi: la genesi della contraddizione mascherata da intellettualismo. E basta! Come se non ci fosse già un’aurea di contraddizione, di confusione e di terrore globale, come se non ci fosse altro a cui pensare seriamente. Eccessi che tagliano il sistema e si annidano ovunque, dalla lingua italiana alla dichiarazione dell’ultimo minuto.
La fantasia al potere, è proprio il caso di dirlo.
Così, i fatti di Colonia si snaturano e finiscono per essere colpa del “maschilismo occidentale” e comunque , a prescindere da tutto, “non erano immigrati, non richiedevano asilo, potrebbe succedere ovunque e a chiunque”. Parola di Dacia Maraini, intervistata da “Il Mattino”: “Un atto di una guerra misogina, contro le donne viste come prede […] stento a credere che tra gli aggressori ci possano essere migranti e rifugiati, gente che ha alle spalle storie molto dolorose […] sopravvive anche da noi questo arcaismo culturale che porta a considerare le donne come una proprietà […]Una paura che ha radici culturali lontanissime, anche per la nostra cultura, se pensiamo alla cacciata di Eva dal Paradiso terrestre. Ma anche economica e soprattutto sociale. L’emancipazione femminile continua a fare paura come dimostrano, nella nostra società, i continui delitti che hanno per vittime le donne. Anche il femminicidio è una manifestazione di paura di fronte all’emancipazione, ad una donna che lavora, che decide, è sempre più visibile nella società in posti di comando e di potere e che molti uomini non tollerano. Un rigurgito arcaico”. E che dire, come sottolineato da Paolo Bracalini sulla nostra testata, della non più giovanotta antropologa Amalia Signorelli che, durante un’intervista, candidamente afferma: “l’ uomo occidentale difende le donne aggredite per sentirsi superiore ai musulmani. Cercano di fare di noi donne la bandiera della loro capacità di liberazione”, liquidando il tutto come “una guerra tra maschilisti”. Boom, chiudete tutto!
O ancora, c’è chi si chiede, come Natalia Aspesi, se le donne italiane ed occidentali siano “libere davvero”.
Ma non di sola acqua di Colonia si abbevera il circo neofemminista nazionale…
Quell’arietta secca di sufficienza affonda le radici lontano. In principio era la sancta sanctorum, la divina maestrina, Laura Boldrini, terza carica dello Stato – o di quel che ne rimane –; la PresidentA, che di Colonia ha affermato che chi ha sbagliato paghi, in virtù delle “conquiste della civiltà giuridica” e che lei è dalla parte delle donne pur evitando ben volentieri e volutamente di dare un nome alle cose, agli aggressori, di chiamarli con il loro nome, con la volontà sua e dei suoi seguaci istituì un vero e proprio gruppo di esperti per “sensibilizzare la società sull’uso corretto della lingua italiana in un’ottica rispettosa di entrambi i generi”. “Il linguaggio rispecchia la cultura di una società e ne influenza i comportamenti”, così l’OnorevolA Giovanna Martelli, consigliera del Presidente del consiglio dei Ministri per le Pari opportunità in una nota, “educare e sensibilizzare a una comunicazione e informazione rispettosa e priva di stereotipi e visioni degradanti del femminile fa parte della rivoluzione culturale che è necessaria per la lotta alla violenza sulle donne”. Prosegue: “Il gruppo sarà composto da esperte ed esperti del linguaggio di genere, del mondo del lavoro, di modelli educativi e di sociologi che svolgeranno l’incarico a titolo gratuito e avranno vari compiti tra cui quello di predisporre delle linee guida per promuovere il linguaggio di genere presso la pubblica amministrazione e nel settore dei media”.
La paladina delle femministe, Laura, che Nel 2013, riuscì persino a farsi cambiare la carta intestata. Non poteva sopportare quell’ “Il” di fronte a “Presidente della Camera” ed arrivò ad affermare: “Se una giudice chiede di essere chiamata la giudice, se una ministra chiede di essere chiamata la ministra, se una presidente della Camera chiede che sulla carta intestata sia scritto ‘la presidente’, lo fa per affermare che non c’è più un’esclusiva maschile per certi lavori, non c’è più una normalità maschile della quale tutte noi saremmo provvisorie eccezioni”.
Suvvia, pensate davvero che i maschietti tedeschi non siano colpevoli di qualche palpatina all’Oktober Fest? Tanto “le molestie sessuali su vasta scala non sono una novità “, come ha scritto Dinah Riese, giornalista del tedesco Die Tageszeitung?
Quello stesso femminismo che stentiamo a credere sia necessario, che abbia una funzione di servizio per le donne, emancipante, fluidificante anzi, il contrario, mettendo in risalto la donna come una specie protetta.
Tremate, tremate…