Il PD come le sorprese dell’ovetto Kinder
In ogni confezione di democrazia, un Pd a sorpresa, dipinto a mano, sempre diverso. Intorno ai postcomunisti moderni, vi è una mistica linguistica. Una storia politica in prosa, romanzata di chi, volendo o non volendo, per caso o per davvero, capace o meno, si trova sempre al posto di comando. PD, storia di (im)Possibili Declinazioni.
In principio fu il Partito Develtronico. Trauma e smarrimento quando Valter Veltroni, romanissimo duce, magno Caronte, fondatore del partito, si dimise. Primo segretario, con la fiducia delle primarie dell’Ottobre 2007 in cui ottenne il 75,8 per cento dei voti, lasciò al suo destino il PD appena nato, o meglio, lo lasciò nelle mani di Dario Franceschini: per la prima volta nella storia, un partito legato alla sinistra italiana, comunque al PCI, si trovava guidato da un politico di formazione democristiana; la metamorfosi: il Partito Decomunistizzatico, passaggio che, sordidamente, accompagnerà sempre più i piddini, fino ad oggi, fieramente.
Il Partito Decromatico – scolorito, ingrigito, quasi a rischio d’estinzione. Una fase maschia, animalesca nel ritorno al primordiale. Terminava l’epoca del cinghiale bianco e montava quella dei giaguari da smacchiare. Franceschini fa il tonfo alle Europee del 2009, fallendo nell’opera di traghettatore, facendogli prendere il 7% in meno circa rispetto all’ultimo voto utile (siglato Veltroni segretario, quello delle Politiche 2008). Morto un Papa se ne fa subito un altro. Spinto da Massimo D’Alema, bolscevico agitatore delle correnti interne, ecco spuntare Pier Luigi Bersani, l’Omino Bianco dei Premier, lo smacchiatore di Giaguari. Con lui il partito recupera un po’ di brio ideologico e forse anche un po’ di colorito. E poi, di anno in anno, Partito Democristianico, con l’apertura della trattoria tipica “Da Verdini al Nazareno”, a Roma, un posto dove se magna bbene, il Partito Deromanico, con la cacciata di Marino dal Tempio, il Partito Deminoranza, vassalli, valvassori e valvassini, mal di pancia intestini, D’Alema, Peppone Fioroni, Cuperlo, meno coraggio, più Speranza, che tante volte ha dato il via al Partito Dimissionatico, più di sinistra, meno di sinistra, più Civati, meno Fassina, più Togliatti e più antifascismo residuale, obbligatorio e anacronistico, per la nuova rigurgitante fase: il Partito Defascistizzatico, che s’accende ad intermittenza come le lucette di Natale per fare i dispettucci alla storia e agli avversari: vi nasconderemo i ninnoli e i gadget, Emanuele Fiano docet. Come non citare il Partito Dell’altri, sempre (e solo) attento alle esigenze di rispetto altrui, di tolleranza e di integrazione. Multiculturale, urna elettorale, scopo commerciale. Come non ricordare la variante per un giorno: il Partito Denascosto, Rohani felice, le statue coperte.
Su tutti, però, il Partito Derenzianico: nel senso latino del moto da luogo: tutto viene da lui, lui può tutto, lui è tutto. Onnivoro, scioglilinguistico, sempre figo e cool, sempre giovane, mistico riformistico, poliglotta (de de de de, shish shish, suonavano la marcia in battaglia) fa stare sereni. La democrazia la decide lui. Ha sbaragliato chiunque: l’Epifani(a) è durata pochissimo, solo qualche mese, ha messo a letto Letta e chi gli voleva fare le scarpe, anche chi voleva allungargli i pantaloni sempre troppo corti o chi, magari, voleva fargli dimettere l’esecutivo. È lui l’uomo nuovo del Partito Domani, quello che proprio ieri ha aggiunto una nuova fantastica interpretazione al suo divenire: il Partito Democlatico, alto esempio di accoglienza del piddì di Renzi che ha deciso di ospitare in Sala tanti cinesi. L’operazione delle Primarie Delocalizzate è stata un successo, il Paziente Democratico è uscito dalla Sala (operatoria) perfettamente. Festa grande a Chinatown e una promessa elettorale: via la foto di Mattarella dagli uffici pubblici, su quella di Mao Tse Tung.
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PD, Per Dare Possibili Declinazioni.