Quella del concertone del 1 maggio? La triste gioventù
Cascasse il mondo, cascasse la terra, tutti giù per terra, il concertone del 1 maggio si fa ogni anno, costi quel che costi. Nulla di preoccupante o di nuovo, se non nei significati.
Mettetevi in testa, cari italiani, che la generazione concertone è quella che va per la maggiore. Tutti gli altri non si sanno divertire. Tra contraddizioni e tempi moderni.
Via la politica, evviva la musica: Con la stessa voglia di fare retorica da battaglia ma con istinti diversi. Tranne che per un postdatato Vinicio Capossela, ancora attaccato all’ideale come la plastica sul divano della zia tirchia – ed ecco che il barbutissimo condottiero dal palco annuncia: “Mi sono affezionato al Primo Maggio fin da bambino, quando in Emilia mi raccontavano che era stata la prima festa abolita dal regime e che i fascisti usavano manganellare i cappelletti, che era uso mangiare tutti insieme per la festa dei lavoratori. Da allora l’ho sempre vissuta come un giorno di alto senso civile, perché è soprattutto nel lavoro che si misura la nostra capacità di vivere insieme. Che sia il concerto di Roma o di Taranto o di Reggio o di qualsiasi piccolo paese è importante unire le voci, nel canto, nella parola o nel silenzio, anche solo per quei cappelletti bastonati” – per tutti gli altri, garantisce Repubblica, quella del 2016, quando ci si muore di fame per davvero: “è una piazza che ha cambiato pelle, si direbbe innanzitutto meno politicizzata. Mancano quasi del tutto gli striscioni e i cori politici, ci sono le bandiere rosse dell’Unione degli Universitari, ci sono le bandiere con i quattro mori di Sardegna come da tradizione, ma di slogan non c’è più traccia”.
Meno politica, più musica, ecchissenefrega. Ballare, fischiare, suonare e cantare anziché portare il giovane precariato in piazza, giorno dopo giorno, prendere per mano e trascinare per le strade a manifestare il giovanotto che non può permettersi nulla, un lavoro, un figlio, una casa, un auto, nella maggioranza dei casi, quello che si fa un curriculum grosso così, col portafoglio vuoto, il portfolio pieno e la meritocrazia non pervenuta.
La dedica a Regeni: La dedica dell’impresa del 1 maggio va a Regeni anziché alle centinaia di “suicidi economici”, ovvero di coloro i quali si sono tolti la vita perché senza lavoro o schiacciati dalla crisi, senza prospettive, col terrore del futuro, dati che addirittura sono stati smessi di “contare”, come riporta Il Fatto: “Dal 2012 l’Istat, l’ente che fa la statistica ufficiale del Paese, non pubblica più il conteggio annuale dei suicidi economici. L’ultimo dato disponibile è fermo al 2010, con 187 casi tragicamente conclusi e 245 tentati”. Di sicuro sappiamo che il numero dei suicidi si sarebbe raddoppiato rispetto a tre anni fa, così secondo l’Osservatorio sui suicidi diretto dal sociologo Nicola Ferrigni dell’Università Link Campus di Roma. Il lavoro evidentemente non è più una priorità. Il cuore delle classi deboli, la lotta – uh madò che parolone antico -, il “sociale”, il mondo operaio, la lotta per l’uguaglianza, non sono più una priorità per la “generazione concertone” – che poi è parte della nostra, che poi è quella che fa più figo per un padre e una madre -. Così, nonostante il caso Regeni meriti un approccio di massimo rispetto, quasi da evocare sottovoce, ecco la dedica dell’intero concerto al giovane ricercatore italiano brutalmente ucciso in Egitto dietro ad un sudicio velo di mistero.
Tanto è così che deve andare: destra e sinistra esistono ancora e stanno offrendo il peggio di loro. Ma nell’immaginario popolare andrà sempre così. Quelli della “generazione concertone” sono i figli che l’Italia vuole, quelli che mamma e papà sognano, fintamente liberi, fintamente emancipati, non rompono, non sporcano, non inquinano e poi sono tanto, tanto allegri. Mica come quelli di Casa Pound Italia, ad esempio, l’altra faccia della medaglia; quelli che “Distribuiscono coperte ai senzatetto. Consegnano vestiario alle famiglie in difficoltà economica. Regalano pacchi di pasta ai 136 lavoratori della Solland Silicon di Bolzano che non ricevono lo stipendio da 4 mesi. Organizzano doposcuola gratuiti per i bambini bisognosi di Ostia. Raccolgono rifiuti per riqualificare le aree verdi degradate nel segno di un ambientalismo militante che da anni, oramai, alla sinistra non interessa più. Intervengono dopo le calamità naturali per portare viveri e aiuti alla popolazione, come in Abruzzo dove furono impegnati per mesi dopo l’emergenza terremoto del 2009. Promuovono il mutuo sociale tutelando famiglie sfrattate e in difficoltà. Aprono sportelli di consulenza gratuita per i cittadini disoccupati. Si interfacciano con le amministrazioni locali per richiedere l’assegnazione di immobili alle famiglie indigenti”, come elenca il Secolo d’Italia ma soprattutto, come ha notato persino lo Stato, nella figura della Direzione centrale della polizia di prevenzione (leggere per credere).
Tranquilli, a famo a rivoluzione: Qualche canna e un paio di bandiere del Che. Una vomitata di abitudini distrattive e una secchiata di stereotipi. L’Italia CREPA, noi siamo moralisti del caiser e loro sonano, ballano, fischiano e cantano e fumano al concertone del 1 maggio, mentre tutto decade, l’idea di una Nazione, di una terra stuprata dalla tecnica e della finanza, mentre si rovista nei cassonetti, mentre abbiamo milioni di poveri italiani e il record europeo è nostro. Strano (o consueto) modo di fare sinistra, di essere fratelli del proletario ora che ce ne sarebbe più bisogno. Ottimo modo per continuare a fare il circo. Flaccide eredità del ’68? Ancora oggi. Tranquilli, a famo a rivoluzione.
Sereni però, i coglioni siamo noi che non ci sappiamo divertire.