almerigo-grilz-390x222Uno nel momento in cui si trova in quelle circostanze, in mezzo alla battaglia, pensa che non gli potrà mai succedere di essere colpito; succederà ai soldati, ai guerriglieri che sono accanto a lui ma tu che sei in mezzo, sei lì per riportare, per vedere, per capire le situazioni non partecipe della battaglia, quindi non verrai colpito”. Poi la chitarra pizzicata di Sweet Home Alabama, per una volta, stonata, se ascoltata oggi. Il paradosso di chi, a trentanni, ignorava la sua fine e si trovava in televisione, in una rara apparizione – da Ambrogio Fogar su Jonathan, nel 1986 – a parlare con naturalezza del suo camminare a schiena abbassata per evitare di prendersi un colpo in testa, mimetizzato tra i guerriglieri, in ogni parte del mondo, avanzando verso la roccaforte nemica. Nella jungla e nella sabbia, tra le colline. Telecamera, taccuino, macchinetta fotografica e nessuna testata intergalattica alle spalle.

1987. La fine e l’inizio, quello di una generazione che nel vuoto sta costruendo la sua casa.
Nella dissolutezza dei riferimenti, che ci costringono troppo spesso ad andare a pescare i più lontani, ultimi certi, riconosciuti e riconoscibili, a volte fuori tempo, a volte sempre in tempo, a volte troppo accademici, Almerigo è simbolo della realizzazione e dell’integrità, della missione compiuta. Ècontemporaneo. In un’epoca in cui Fiorello vince premi giornalistici e chi può non vede l’ora di consigliarti di smetterla di provare (o riuscire) a fare il giornalismo, di cambiare mestiere in fretta – tu povero idiota che ci credi, che ci investi quei due soldi che riesci a tirarci su -, in cui esso sembra inconciliabile con una propria visione del mondo e della vita, la storia di Almerigo Grilz, triestino, è una spinta che, però, non ricorda nessuno, nessuno si fila. Né il gotha del giornalismo italiano, né la memoria pubblica e culturale, né gli addetti ai lavori. Non ha una grande sala, né un premio a suo nome e tranne una via nella sua Trieste o qualche coraggioso giovanotto seduto sulla sponda “sempre sbagliata”, nessuno lo prende ad esempio. Chissà, forse per il suo accento o per la “mania” di fare reportage, di stare appresso alle truppe Karen in Birmania o ai mujaheddin afghani in lotta contro l’Armata Rossa; forse, per il suo essere stato missino, sì, missino, militante e dirigente del Fronte della Gioventù e dell’Msi, consigliere comunale triestino e vicesegretario del FdG nazionale. Vicesegretario.

Quella la sua vera tomba eterna. Per qualcuno era solo un “attivista fascista morto in Angola”, poco importa se, insieme ad altre due colonne del giornalismo italiano, Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, aveva fondato, dopo aver sostanzialmente abbandonato l’impegno politico diretto, l’agenzia Albatross Press Agency, che raccontava “le guerre più dimenticate del pianeta, vendendo cronache e filmati a televisioni e quotidiani di mezzo mondo”, com’è lo stesso Biloslavo a ricordare.  Almerigo fu missino. La congiura del silenzio, la condanna della dimenticanza. Non si può dire, non si può fare. Lascialo ricordare al ghetto, quel ghetto che non si è mai dissolto, nonostante la distruzione infame di una comunità di uomini e di idee, che la storia tiene incollato, quasi sempre nel ricordo di ciò che fu.

Almerigo camminava, a trentaquattro anni, a testa bassa, in Mozambico mentre riprendeva i reparti anticomunisti della Renamo in battaglia. Erano in ritirata, diede le spalle al nemico, per qualche attimo, il tempo di capire. La Super8, ad un tratto, riprende il cielo azzurro. Almerigo, il 19 maggio 1987, a trentaquattro anni, camminava a testa bassa ma non bastò: un proiettile gli si infilò nella nuca e lo lasciò sull’erba del Mozambico. I guerriglieri lo seppellirono sotto ad un grande albero non distante da dov’era stato ucciso. Lì riposa ancora oggi Almerigo, il primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dalla fine della seconda guerra mondiale.

A 30 anni esatti della sua morte, Il Giornale dedica un ampio spazio ad Almerigo Grilz che potrete trovare qui: Di destra, quindi dimenticato. In memoria di Almerigo Grilz

 

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